Erano ormai gli ultimi giorni. Camminavano verso Gerusalemme. In due si accostarono a Gesù. Abbassarono la voce, forse, nell’avanzare la loro pretesa? «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra», domandarono Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo. E pare, nell’ascoltare il Vangelo di Marco in San Pietro mentre s’inizia il Concistoro, di sentire in quella domanda il fiato antico dell’ansia di potere, che da sempre domina gli uomini.
Con una semplice frase Gesù annienta i sogni di gloria dei due: «Potete voi bere il calice che io bevo? ». Una risposta «folgorante», dice Benedetto XVI ai vecchi e nuovi Cardinali – il rosso delle porpore che colma sanguigno la penombra della basilica, sotto la grande cupola, sotto alle parole millenarie: «Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam». Folgorante davvero, la risposta sulla via di Gerusalemme, tra Cristo che consapevole si avviava alla Croce e già la annunciava ai suoi, e quelli che, testardi, non capivano: sempre bramando gloria e potere, come li si intende fra gli uomini. (Perché poi gli apostoli erano uomini come noi: paurosi, vani, ambiziosi, mormoranti. Uomini proprio come noi). La voce nella basilica ieri mattina era mite e chiara. L’ultimo successore di Pietro ai nuovi e vecchi principi della Chiesa ha ridetto la rivoluzione del Vangelo: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto di molti». E ha aggiunto : «Queste parole illuminano con singolare intensità l’odierno Concistoro. Risuonano nel profondo dell’anima e rappresentano un invito e un richiamo, una consegna e un incoraggiamento specialmente per voi, cari fratelli». Perché quella porpora imposta sul capo non è una corona di diamanti; quel suo rosso, è il colore del sangue. Segno, dice il Papa, di dedizione assoluta e incondizionata ai fratelli e alla Chiesa. «Usque ad effusionem sanguinis», fino all’effusione del sangue. I porporati in San Pietro sono uomini con la giovinezza alle spalle. Inconsueto esercito con i capelli grigi, o a volte già candidi, nelle parole del Papa si sentono forse scossi come giovani soldati cui un generale ricordi che sono chiamati a una grande battaglia. Non c’è tempo per compiacersi di medaglie e stellette, né per sognare onori - come quei due, sulla via di Gerusalemme. La ragione che anima questo esercito è altra, tutt’altra: «La vostra missione sia sempre e solo in Cristo, risponda alla sua logica e non a quella del mondo», dice il Papa.
La logica del mondo, di cui proprio l’altro giorno Benedetto ha parlato: logica del potere, del successo, dell’apparenza. Quella in cui in fondo, tanto o poco, quasi tutti viviamo. In cui vivevano anche gli apostoli, che si chiedevano ansiosi chi era il più grande, fra loro. Logica ribaltata sotto alla Croce da un uomo che disse: chi vuol essere il primo fra voi, sarà il servo di tutti. Il mondo alla rovescia, il Vangelo che ancora capovolge i pensieri, anche quelli dei più sapienti. Farsi piccoli, contro l’istinto che preme e vuole dominio e onori. Sono così gli uomini, lo sono sempre stati, né Cristo si scandalizzò di loro quel giorno, sulla strada per Gerusalemme, quando, in disparte, pretesero di prenotarsi i posti migliori. Tuttavia lo seguirono; e in quel seguirlo si ritrovarono perseguitati, prigionieri, ma grandi davvero. In tutta un’altra logica. Non in quella del 'mondo'.
Il Papa ha detto al popolo cristiano di pregare per i suoi Cardinali, perché siano sempre fedeli a Cristo. E, ha aggiunto, pregate per me, «perché possa reggere con mite fermezza il timone della Santa Chiesa». A quell’immagine a noi è venuta in mente una grande nave, la prua possente battuta da onde alte e da un vento forte. Che resti ferma, fedele, la mano di quell’uomo anziano al timone, ci siamo detti: con un accento di affetto, e gratitudine filiale.