sabato 29 agosto 2015
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Fin dall’antichità, profughi ed esiliati a causa di conflitti militari, sociali, politici e religiosi hanno contribuito a ingrossare le fila di quanti abbandonano la propria terra per cercare accoglienza e opportunità di vita più sicura e dignitosa altrove. Stranieri non per scelta, ma per necessità. Tra i prototipi degli esuli più evocati, oltre agli ebrei della prima e seconda diaspora figurano i troiani guidati da Enea, e il vecchio Edipo, cui Teseo si rivolge ricordando di «essere cresciuto da straniero come sei tu adesso […] tanto che non potrei mai rifiutare aiuto a uno straniero, quale sei tu ora. Perché so bene di essere un uomo e che il domani non è mio più di quanto sia tuo» (Sofocle, Edipo a Colono, vv. 562-568). Ma popoli, comunità e singoli sfollati e migranti, i cui nomi restano per lo più sconosciuti, sono innumerevoli.Una pagina della storia della violenze e della miserie che hanno provocato fughe umane è racchiusa nella lettera inviata il 16 agosto 1652 a Innocenzo X dal sacerdote francese Vincent Depaul: «La casa reale divisa da dissensi, il popolo scisso in opposti partiti e città e province devastate dalle guerre civili. Le borgate, i villaggi e i castelli rovinati, abbattuti e bruciati. I contadini impossibilitati a raccogliere quanto hanno seminato e a seminare di nuovo. I soldati commettono impunemente ogni sorta di angherie. […] Gli abitanti sono torturati o messi a morte; le vergini disonorate e le religiose esposte al libertinaggio e al furore della milizia; le chiese profanate, saccheggiate, distrutte». Il mittente non risparmia al Papa l’osservazione: «È poco udire o leggere queste cose: bisogna vederle con i propri occhi». E a metà del ’600, dinnanzi agli occhi di Monsieur Vincent – così era chiamato san Vincenzo de’ Paoli – stava la Parigi della Fronda, abbandonata dalla corte del re e invasa da contadini, mendicanti, fuggiaschi e malati in cerca di un giaciglio e di un boccone. I suoi 380 mila abitanti, non senza risentimento e paura, videro arrivare in città e nei sobborghi fino a 100 mila uomini, donne e bambini provenienti dalle province devastate. Un quarto di questi ultimi moriva al di sotto di un anno di età e un altro quarto non raggiungeva i venti. I croque-morts raccoglievano dagli ospedali e dalle strade anche più di mille deceduti al giorno.Vincenzo non si limitò a denunciare l’inerzia dei ministri della Corona, l’indifferenza di molti ecclesiastici e la diffidenza dei benestanti, che consideravano la povertà una questione di ordine pubblico, i mendicanti un affare di polizia e i malati un problema di isolamento, ingrossando così le fila dei galeotti nei vascelli del re, dei reclusi nelle carceri e degli internati negli ospedali. Poté sferzare gli ignavi del Grand Siècle con le spalle coperte dalla carità perché per primo si era mosso concretamente per aiutare le vittime delle guerre di religione, delle carestie e della peste che avevano messo in ginocchio la Francia. E lo aveva fatto coinvolgendo i laici, in particolar modo le donne, affidando loro iniziative e responsabilità, senza alcun vezzo clericale. Furono all’inizio proprio quelle nobili e borghesi che Molière metteva alla berlina come le «preziose ridicole», perché oziavano nei salotti con i loro riccioli, profumi, corpetti e passementeries. Riuscì farne alzare dai divani un gran numero (anche la regina Anna Maria d’Asburgo e la principessa Maria Luisa di Gonzaga-Nevers), ricevendo da esse denaro per i poveri e la mano che riuscivano a dare personalmente, nutrendo e vestendo sporchi e maleodoranti clochards, senza però pretendere quello che la società e l’etichetta del tempo non consentiva loro di fare. Per compiti più gravosi, insieme a santa Luisa de Marillac, raccolse e formò ragazze del popolo che desideravano consacrarsi al Signore pur restando nel mondo (saranno chiamate "Figlie della Carità", le "suore grigie" che anche Napoleone ammirava per il loro amore ai poveri): esse presero in carico l’Hôtel-Dieu, ormai allo sbando per il sovraffollamento e la cattiva gestione, e ne fecero un luogo dignitoso di accoglienza e di cura.L’opera instancabile e umile di Vincenzo («Non bisogna camminare davanti alla Provvidenza, ma dietro», soleva dire), come ogni testimonianza concreta della carità cristiana, fu al medesimo tempo una "rivoluzione" ecclesiale e civile. Il vescovo Henri de Maupas du Tour, nella commemorazione a due mesi dalla morte, svoltasi nella chiesa di Saint Germain l’Auxerrois a Parigi, riconobbe che il Santo «ha pressoché cambiato il volto della Chiesa». E il popolo della "laicissima" Francia gli ha riconosciuto il titolo di Père de la Patrie. (3 - continua)
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