Dallo scorso luglio è aumentato in modo inarrestabile il numero di minori non accompagnati che sbarcano sulle nostre coste. Quasi due su dieci migranti arrivati via mare sono under 18 soli. Secondo le stime di "Save the Children" al momento in Italia rasenterebbero quota 3.000. Molti, troppi, spariscono dopo l’accoglienza. Secondo i dati dell’Anci, su quasi 8.000 minorenni stranieri non accompagnati accolti dai Comuni al 30 settembre, ben 1.600 – uno su cinque – risultava irreperibile, per lo più nella fascia tra i 15 e i 17 anni. Ma inquieta anche la sparizione di 184 bambini tra i 7 e i 14 anni. Se va bene, raggiungono amici e parenti in Italia e in Europa. Ma su questi figli dimenticati, su questi ragazzi perduti nell’invisibilità e nella vulnerabilità aleggiano gli spettri del reclutamento nella malavita, l’immondo sfruttamento pedopornografico e la prostituzione.Le due etnie più rappresentate sono eritrei ed egiziani, poi ci sono maliani, senegalesi e gambiani. Molti scappano dal reclutamento forzato, dalla miseria di un campo profughi o di una baraccopoli. Gli eritrei sono di passaggio, vogliono proseguire il lungo viaggio iniziato in Sudan o in Etiopia, arrestatosi per mesi in Libia e ripartito verso la Sicilia, per avvicinarsi al grande Nord europeo. Ma gli altri vorrebbero costruirsi un futuro in Italia. Purtroppo oggi, dicono gli operatori umanitari, l’accoglienza proposta dallo Stato italiano è inadeguata. Spesso non si pensa nemmeno a dare ai minori soli una scheda telefonica per comunicare con i propri congiunti, e la burocrazia allunga i tempi del ricongiungimento persino con parenti già residenti – anche regolarmente – sul territorio nazionale. Ci risultano casi di persone ferme da più di un mese nella cosiddetta prima accoglienza. Tutto ciò solletica la voglia di fuggire, esponendo questi ragazzi a nuovi pericoli.La scorsa settimana quattro minori egiziani non accompagnati fuggiti dalla Sicilia sono stati rapiti da una gang di connazionali nel Lazio i quali, prima di venire arrestati, avevano chiesto e ottenuto dai parenti un riscatto per liberarli. L’odioso rapimento dei profughi, come i lettori di questo giornale sanno bene, viene abitualmente praticato in Libia, in Sudan o nel Sinai – con modalità più cruente, certo – e non deve assolutamente prendere piede anche in Italia.Il cuore della comunità di Augusta e l’impegno concreto di una parrocchia (lo raccontiamo a pagina 6) consente ad alcuni di questi ragazzi di studiare e vivere parentesi di normalità. È una delle belle storie scritte nella Chiesa italiana, una mano tesa agli ultimi e uno "schiaffo" a un sistema che non si cura dei minori e dei loro problemi.Senza contare le condizioni igienico sanitarie precarie degli improvvisati centri istituiti in Sicilia. Ancora vibra, purtroppo inascoltata, la denuncia che lo scorso febbraio proprio i parroci di Augusta avevano lanciato in un appello a chi ha il potere e avrebbe il dovere di cambiare questo stato di cose. «Nonostante gli sforzi, certamente lodevoli e generosi, delle Istituzioni locali, del Comune e di volontari della comunità civile e delle comunità cristiane – dicevano i sacerdoti siciliani – è estremamente difficile dare una accoglienza dignitosa a questi minori nell’attesa di una collocazione in centri idonei dal punto di vista umano e formativo. Collocati provvisoriamente in strutture improprie e inadeguate, sono necessariamente soggetti a condizioni igieniche carenti, scarsa assistenza sanitaria (affidata a medici volontari), mancanza di screening medico sistematico».L’esperienza di Augusta ricorda a tutti che l’integrazione parte da una buona accoglienza, dall’umanità, dal decoro. Dice che occorre collaborazione tra Governo centrale, Comuni e Terzo Settore per programmare ed evitare emergenze prevedibili. Solo così si diventa credibili agli occhi di un ragazzo che a 15 anni ha già conosciuto la durezza della vita, la guerra, la miseria e la violenza. Solo così si riesce a dare un’alternativa alla fuga e a prosciugare la palude della malavita pronta sempre a inghiottire chi viene lasciato solo.