Non voglio entrare nel merito di un problema che non domino (ma che dubito sia davvero dominabile da parte di chicchessia) e cioè se l’omosessualità possa essere “curata” e se il disagio esistenziale di cui (alcuni ) omosessuali soffrono li renda meritevoli di aiuto. Questa opinione, esposta da Giancarlo Cerrelli in una trasmissione televisiva, è stata ritenuta «omofoba» e lo ha esposto a una serie di violenti attacchi, alcuni molto rozzi e sanguigni, come quelli provenienti da movimenti gay. Tra questi attacchi, non rozzo, ma assolutamente ingiustificabile, si colloca l’intervento di Giuseppe Luigi Palma, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi. Palma non solo ha stigmatizzato come «scientificamente priva di fondamento» l’affermazione che l’orientamento sessuale di una persona si possa modificare, ma ha aggiunto che si tratta di un’affermazione «portatrice di un pericoloso pregiudizio sociale». Palma avrebbe dovuto essere più prudente e ricordarsi della sferzante affermazione di Lacan: «Degli omosessuali si parla. Gli omosessuali li si cura. Gli omosessuali non li si guarisce. E quello che c’è di più formidabile è che non li si guarisce nonostante siano assolutamente guaribili». Potranno non andare tanto di moda oggi, ma le tesi di Lacan e dei “neofreudiani”, che non hanno timore di considerare patologica (non immorale, né perversa) l’omosessualità, andrebbero prese più sul serio. Così come andrebbe ricordato che, quando nell’ormai lontanissimo 1973 l’American Psychiatric Association ha cancellato l’omosessualità dal novero delle psicopatologie, la questione è stata semplicemente rimossa, non risolta, tanto più che questa cancellazione non avvenne a seguito di un adeguato dibattito scientifico, ma solo esortando – in modo epistemologicamente discutibile – gli iscritti all’Associazione a esprimersi, attraverso un voto, sull’opportunità di continuare a considerare l’omosessualità alla stregua di una malattia di rilevanza psichiatrica. Su di una piattaforma di diecimila votanti (che ovviamente inglobava gli iscritti all’Associazione che non vollero partecipare al voto) si riscontrò una maggioranza non entusiasmante del 58% a favore della cancellazione dell’omosessualità dal celebre e contestato DSM, cioè dal manuale ufficiale di diagnostica dell’Associazione. Il rilievo mediatico della votazione ha indubbiamente messo in ombra la questione della sua consistenza scientifica.Il punto più rilevante delle dichiarazioni del dottor Palma non è però quello che concerne la possibilità di considerare patologica o comunque fonte di disagio l’omosessualità, ma il fatto che, a suo avviso, chi osi esprimere questa opinione (ancorché condivisa da illustri studiosi) contribuirebbe ad attivare un «pericoloso pregiudizio sociale» contro gli omosessuali. Il dottor Palma non si rende evidentemente conto di come egli stia (mi auguro inconsapevolmente) portando acqua a un assurdo paradigma che porta alla dogmatizzazione del sapere: un paradigma, all’interno del quale alcune affermazioni, come appunto quelle che sostenessero che l’omosessualità è una malattia, andrebbero ritenute non solo fallaci (ma sappiamo che nella scienza tutte le teorie sono potenzialmente fallaci!), ma meritevoli di stigmatizzazione e repressione sociale, se non addirittura penale. Invece di esporre le ragioni per le quali si dovrebbero ritenere erronee le teorie di Giancarlo Cerrelli (e di altri che si muovono nella stessa direzione), Palma le espone al pubblico vituperio, dando per scientificamente consolidato e incontrovertibile ciò che non lo è affatto. Se l’intenzione del presidente dell’Associazione psicologi è di non contribuire in alcun modo al possibile ulteriore diffondersi dell’omofobia, non potrebbe realizzarsi in un modo peggiore di questo, attraverso cioè arroganti intimidazioni (pseudo)-epistemologiche. Palma si sta in realtà rivelando un alleato prezioso di quanti ritengono che il vero obiettivo di una legge contro l’omofobia sia quello di imbavagliare la libertà di ricerca scientifica e più in generale di libera manifestazione del pensiero. Meraviglia (e non poco) che proprio uno psicologo non arrivi a capire quanto sia delicato questo punto.