Dieci anni non sono bastati a placare le polemiche attorno alla legge 40 sulla procreazione assistita, datata 19 febbraio 2004, nonostante i risultati raggiunti smentiscano sonoramente quei profeti di sventura che dieci anni fa preconizzavano scenari fallimentari per effetto della nuova norma. Il referendum che cercò di smontarla fu indetto subito, a legge appena entrata in vigore, senza neppure aspettare di verificarne l’applicazione, e si risolse, come sappiamo, in un clamoroso fiasco. L’impianto della 40 è rimasto praticamente invariato in questo decennio, nonostante note lobby organizzate abbiano fatto del suo attacco giudiziario una vera ragion d’essere. Hanno cercato di farla passare come una legge confessionale, quando è ben noto che parlare di "legge cattolica sulla fecondazione in vitro" è una contraddizione in termini: il magistero non consente tecniche di procreazione che si sostituiscano al concepimento naturale, e l’unica possibile norma cattolica si tradurrebbe in un solo articolo per vietare la provetta.La legge 40 è invece un compromesso che cerca di tutelare tutti i soggetti coinvolti, dal concepito alla coppia, e che in questi anni ha offerto molte, importanti garanzie. Innanzitutto non è stato impedito l’accesso a queste tecniche, come paventato: sono sempre aumentate le coppie che ne hanno fruito, i cicli di trattamento e le nascite, tranne che nell’ultimo anno per cui sono disponibili i dati, durante il quale, nonostante sia cresciuto il numero delle coppie, i neonati sono diminuiti. A seguito dell’unica sentenza della Consulta che nel 2009 ha modificato il testo della legge, infatti, sembrano essere cambiate le procedure degli operatori del settore – molti più gli embrioni congelati, per esempio, da circa 700 a ben 16mila l’anno –, ma saranno i dati futuri a dare indicazioni più precise in merito.Vietando la fecondazione eterologa (cioè la possibilità per una coppia di usare ovociti o liquido seminale di estranei) la legge 40 ha dato ai bambini nati con queste procedure la certezza di vivere con il padre e la madre che li hanno generati, e quindi di conoscere le proprie origini. La fecondazione eterologa, infatti, non può essere semplicemente considerata una variante tecnica, perché distrugge la filiazione così come l’abbiamo sempre conosciuta: con l’eterologa sono riconosciuti genitori coloro che hanno l’intenzione di esserlo e non chi ha generato fisicamente il bambino. Si crea così un’enorme contraddizione: chi la chiede, usando gameti estranei alla coppia, lo fa dicendo che è chi cresce il bambino a essere il vero genitore, negando l’importanza del legame biologico. Al tempo stesso, però, ricorre all’eterologa e non all’adozione perché vuole che il bambino sia anche figlio biologico di almeno uno dei due. Ma non basta. La legge 40 ha anche impedito il traffico dei gameti e quello dell’utero in affitto, fonte di commerci fiorenti a scapito soprattutto delle donne più povere; ha evitato che si introducesse nel nostro ordinamento il principio eugenetico secondo il quale esseri umani possano essere selezionati a seconda del loro patrimonio genetico, scegliendo i "migliori" e scartando i "peggiori". Secondo la legge del 2004 non si possono distruggere gli embrioni per la ricerca, ma nei Paesi dov’è consentito vengono eliminati in massa ogni anno quelli "soprannumerari", non più richiesti dai genitori, senza che nessun laboratorio li reclami pur potendoli avere gratis.Le modifiche richieste alla 40, dai quesiti del referendum andato a vuoto a quelli presto all’esame della Consulta, hanno sempre voluto e tuttora vogliono smontare tutto questo apparato, eliminando le garanzie che hanno dimostrato in questi dieci anni la loro efficacia. Lo scopo non è solo quello di cancellare qualche "paletto" ma l’intera legge, per riportare il settore della fecondazione assistita alla situazione precedente a quel 19 febbraio di dieci anni fa, quando le sole regole vigenti erano quelle imposte dal mercato. Le conseguenze di un simile ritorno al passato sono immaginabili e verificabili in tanti Paesi dove questo già accade. Diciamolo con chiarezza, e senza ipocrisie.D