A chi, di solito indifferente al calcio, sbirciando un frammento di partita in tv pretende d’improvvisarsi esperto di schemi e detta formazione e tattica all’allenatore, in genere si suggerisce di lasciar perdere per evitare figuracce: non ne sa nulla, s’informi bene, solo dopo potrà ottenere di farsi ascoltare. Pare tuttavia che questa regola aurea di buon senso – e di buona educazione – conosca una rilevante, e sistematica, eccezione: i temi religiosi. Curiosi e attenti su fatti e personaggi impossibili da ignorare – e da ultimo anche su certo gossip ecclesiale –, i mass media (o, meglio, gran parte di essi) invece si occupano poco e svagatamente della vita quotidiana delle comunità cristiane, un mare brulicante di vita radicata nel Vangelo e nel depositum fidei. Anzi, a giudicare dal raro spazio che gli è riconosciuto nel racconto dell’attualità, per il sistema della comunicazione le diocesi, le parrocchie e i movimenti potrebbero persino non esistere. Come ha sentenziato con sussiego un noto opinionista: non c’è notizia.Quando però certi giornali – tanti, troppi? – decidono di occuparsene mostrano una singolare (e abborracciata) pretesa di metter becco nella pastorale, nella tradizione, e persino nella dottrina e nei sacramenti. Ma come, non erano realtà tanto inconsistenti da non meritare quasi sguardo, una cronaca, un approfondimento rispettoso e onesto? Se normalmente la dimensione cristiana della vita di milioni di italiani e di innumerevoli realtà comunitarie non merita conoscenza e attenzione, com’è possibile poi stilare giudizi credibili sulla Chiesa e quel che ha di più prezioso (l’Eucaristia, la presenza reale di Gesù Cristo) nel momento in cui si decide di concentrarsi febbrilmente su fatti giudicati all’improvviso interessanti? E in questo approccio scomposto a una realtà così rilevante, diffusa e radicata come la Chiesa, meritevole quantomeno di rispetto, quale sarà il criterio sul quale si giudica un fatto accaduto dentro la comunità ecclesiale di colpo degno di diventare "notizia"? Vicende come quella accaduta in diocesi di Ferrara – il caso di un bambino disabile grave che un parroco ha accolto con affetto, predisponendo per lui un cammino adeguato e speciale verso la prima Comunione, trasformato in un "rifiuto" – confermano il sospetto che spesso i media osservino la vita della Chiesa con lenti offuscate e deformate da un ostinato pregiudizio: l’esperienza religiosa sarebbe un fatto del tutto individuale, una faccenda interiore e alla fine socialmente irrilevante, impalpabile. Dunque l’attenzione finisce per accendersi solo quando affiorano quelle che sembrano stranezze al limite dell’aneddoto, o avvenimenti spiccioli che diventano curiosi per qualche particolare scambiato per bizzarria stonata, quando invece si tratta di ovvietà perfettamente comprensibili se solo si fosse più preparati, meglio informati, o meno ignoranti. Nella foga di mettere a fuoco i riflettori su un episodio estraniato dalla sua autentica ambientazione ecclesiale si dimentica banalmente di verificare le notizie (magari manipolate e rilanciate per alimentare una polverosa propaganda anticlericale). E ci si contenta della verosimiglianza, prendendo per buone chiacchiere di paese o ridicole fandonie (nel caso ferrarese, persino finti avvocati per finti ricorsi europei): basta che confermino il caricaturale postulato della Chiesa e della stessa fede "maligne" ed estranee alla vita vera della gente. Questo atteggiamento preconcetto è nemico giurato della verifica dei fatti. E se si ha ragione di dolersi dei suoi frutti amari – la disinformazione perpetua la catena dei pregiudizi –, non è certo per una supposta "sindrome del complotto", come tentava di sbrigarsela ieri qualche collega più impermeabile di altri alla semplice realtà. Sotto questo sgorbio di narrazione – la Comunione "negata", il parroco "cattivo", il bambino "escluso": tutte falsità – scorre il veleno che goccia a goccia mina la stessa libertà religiosa, intesa come spendibilità pubblica della fede e dell’appartenenza ecclesiale di ciascun credente. Amiamo questa Chiesa che ascolta, comprende, accompagna, aiuta, consiglia, corregge, che sa dire anche i "no" che servono per giungere poi a "sì" più grandi e consapevoli, che accetta il rischio della critica immediata sapendosi chiamata a uno sguardo più grande. Ne andiamo fieri. Da "esperta in umanità" qual è, sa amare e accogliere tutti. Soprattutto chi è più fragile, chi è meno amato, persino chi non l’ama.
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La speranza della fede non è qualcosa che possiamo creare e gestire con le nostre sole forze, quanto piuttosto Qualcuno che viene a noi, trascendente e sovrano, libero e liberante per noi