I viaggi della cercanía, della prossimità. Possiamo definirle così le visite lampo nelle diocesi italiane compiute fino a oggi da Papa Francesco. Dal blitz inatteso a Lampedusa al viaggio odierno in Molise. Il dato è in sé evidente. Caratterizzate da un’intensa brevità – così come lo saranno anche le prossime uscite internazionali in Asia e in Europa – tutte le visite seguono la rotta delle periferie – «perché è Dio stesso che muove dalle periferie» –, tutte si svolgono secondo i dettami della «cultura dell’incontro», e tutte, scandite dal tempo dedicato alle multiformi povertà, indicano quelle che sono le scelte prioritarie, privilegiando costantemente gli ultimi, i detenuti, gli ammalati, gli anziani i giovani. «Non sono un modello, ma una modalità», ha fatto osservare il segretario generale della Cei monsignor Galantino, in quanto sono espressione di una forma vitae, conforme al magistero del "giorno dopo giorno" di Bergoglio e alla conversione pastorale suggerita a tutto il corpo ecclesiale. Espressione che trova il suo punto sorgivo proprio nell’intuizione della natura della Chiesa e dell’agire che le conviene, secondo quel dinamismo intimo della Chiesa simbolizzato dal mysterium lunae, la formula – più volte ripetuta da Papa Francesco e già utilizzata dai Padri dei primi secoli cristiani – per cui la Chiesa, come la Luna, non vive di luce propria ma della luce riflessa di Cristo e cammina nella storia solo per mostrare al mondo questo riverbero. Le visite e i viaggi pastorali di Papa Francesco appaiono perciò come il manifesto della Chiesa continuamente proposta dal suo magistero – in linea con la tradizione patristica a cui ha attinto il Concilio Vaticano II –, che vive in pienezza il proprio mistero fondativo solo quando è decentrata e in uscita da se stessa, quando non è autoreferenziale e quindi non ha neppure il problema di acquisire margini di influenza concorrenti con i poteri costituiti. È la forma di un sensus Ecclesiae estraneo al progetto di una Chiesa protagonista, tesa ad attestare e a realizzare da sé anche la propria rilevanza nello spazio geopolitico. I viaggi della cercanía portano quindi anche a far emergere come l’approccio attuale della Chiesa alle urgenze del tempo reale e agli scenari globali prenda silenziosamente congedo da tutte le linee di pensiero ecclesiastico che disegnano o hanno disegnato in passato la Chiesa come entità geopolitica pre-costituita. Gli unici orientamenti generali suggeriti da Bergoglio come parametri di riferimento «per la valutazione e l’interpretazione dei fenomeni sociali» sono i quattro criteri pratici esposti anche nella sua Evangelii gaudium (criteri che Francesco riprende in parte dal militare argentino Juan Maunal De Rosas, 1793-1877): «Il tempo è superiore allo spazio», «l’unità prevale sul conflitto», «la realtà è più importante dell’idea», «il tutto è superiore alla parte». Quattro formule che Papa Francesco dispiega con riferimenti di immediata applicazione: «Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività sociopolitica – scrive nella sua esortazione apostolica – consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare i processi più che possedere spazi». «Questo principio – spiega ancora Francesco – permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà impone... Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le portano avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici». In sostanza, nel suo essere nel mondo – questo dicono anche i viaggi e le azioni di Francesco – la Chiesa non punta a «occupare spazi» di potere ma a star dentro i processi e accompagnarli.
I viaggi e le azioni di Francesco divengono le direttrici di un neo-realismo evangelico che, emancipato da ogni pretesa di guidare i processi storici come leader di un soggetto tra gli altri, manifesta la sua consonanza con una visione fatta di studio di contesti e problemi da affrontare, ricerca di soluzioni e conciliazioni possibili, edificazione della pace, costruzione di ponti, diffusione della solidarietà, favorendo il contributo che i battezzati, in quanto cittadini, possono offrire alla costruzione della polis comune, senza creare mondi paralleli.Un approccio paziente e realista che Jorge Mario Bergoglio riconosce familiare anche in virtù della sua appartenenza alla Compagnia di Gesù: nelle loro progressioni missionarie i gesuiti hanno sempre seguito la bussola "situazionista" che li conduceva a muoversi nel rispettoso adattamento ai contesti dati. «Per sant’Ignazio – ha ripetuto nell’intervista alla Civiltà Cattolica – i grandi princìpi devono essere incarnati nelle circostanze di luogo, di tempo e di persone». Così la Chiesa guidata da Papa Francesco si pone anche sulla scena delle relazioni internazionali con una libertà, una flessibilità di movimento e un’autorevolezza – come s’è visto – disarmanti.