Otto dicembre: festa dell’Immacolata. È sera tarda quando, dopo una giornata passata in parrocchia, faccio ritorno a casa. Accendo la televisione mentre mi preparo qualcosa da mangiare. Su La7 si discute ancora di Chiesa e Ici. Seguo un po’ annoiato. Sta parlando un distinto signore che, se ho capito bene, ha scritto un libro in cui tenta di fare i conti nelle tasche della Chiesa. La cifra che propone, logicamente, è enorme. Non è ben chiaro, però, se in quel "tesoro" ci abbia messo anche i tantissimi luoghi di culto, sparsi per l’Italia, né le migliaia opere d’arte, che la Chiesa custodisce e protegge, e che il mondo ci invidia. Nemmeno si capisce se nel conteggio siano stati inclusi oratori, ospedali, scuole, università, conventi, monasteri, abbazie, edicole votive e teatrini parrocchiali.Si guarda bene, quel signore, dal ricordare a chi segue la trasmissione che tantissimi parroci, cittadini italiani, oltre al lavoro squisitamente pastorale, svolgono gratuitamente quello di custodi di beni culturali di grandissimo valore. Non si chiede perché nei secoli scorsi e ancora oggi tanta gente, morendo, ha deciso di destinare alla Chiesa i propri beni. In studio qualcuno tenta di riportare il discorso su un piano più razionale e meno emotivo. Niente da fare. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Passo dalla televisione al computer. Vado alla posta e leggo la prima email: «Ti farà piacere, padre, sapere che in chiesa stamattina ho provato una gioia immensa nel contemplare l’immagine della Madonna sull’altare. Sono triste e senza lavoro, ma mi sono sentita abbracciata da lei e ho appoggiato il mio capo sul suo grembo materno. Ti confesso che non sono riuscita a seguire nemmeno la lettura del Vangelo. Mi riposavo guardando Maria. Mi rifugio in lei. Sento tanto la mancanza della mia povera mamma, ma trovo tanto conforto nella madre celeste. Anita». Sorrido pensando a quel signore che fa i conti in tasca alla Chiesa cattolica, e – chissà perché – solo ad essa. Egli, infatti, come tanti altri di questi tempi, nell’ossessione che lo ammalia, ha dimenticato quale sia la vera, grande ricchezza di questa realtà teandrica e misteriosa. In ogni chiesa, piccola o grande, ricca di arte o povera come la stalla di Betlemme, adornata di marmi policromi o dipinta dall’imbianchino del paese, c’è qualcosa d’immenso che la gente trova e che le parole mai potrebbero raccontare.Il tesoro più grande della Chiesa è rappresentato dalla presenza del suo Signore e della Vergine Maria; dal Vangelo e dai Sacramenti che le sono stati consegnati. La grandezza della Chiesa è nella sua capacità di ascoltare, consigliare, consolare, assolvere dai peccati chi dal peccato si sente schiacciato e oppresso. Nella Chiesa – una cappellina di campagna o la Basilica di san Pietro in Roma – tanta gente trova la forza per andare avanti, di riprendere fiato, di continuare a lottare e non cedere allo sconforto. «Quanto costa tutto questo, professore? Quanto costa la speranza ritrovata, il desiderio di impegnarsi e fare il bene? Quanto costano i mille e mille volontari di ogni tipo che rendono un servizio prezioso alla società civile?», verrebbe da chiedere.È proprio così difficile capire che non ci sarà mai abbastanza denaro per comprare il "riposo" che Anita ha trovato fissando la Madonna, o la vita del bambino strappato alla fogna dell’aborto dopo la confessione della mamma? Tutto il resto – denaro, studi, strutture – sono solo strumenti per realizzare tutto questo. «La Chiesa – scriveva Bernanos – dispone della gioia, di tutta la parte di gioia riservata a questo triste mondo. Quello che avete fatto contro di essa, l’avete fatto contro la gioia…». E contro la povera gente, aggiungo io.