sabato 10 dicembre 2011
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Otto dicembre: festa dell’Immacolata. È sera tarda quando, dopo una giornata passata in parrocchia, faccio ritorno a casa. Accendo la televisione mentre mi preparo qualcosa da mangiare. Su La7 si discute an­cora di Chiesa e Ici. Seguo un po’ annoiato. Sta parlando un distinto signore che, se ho capito bene, ha scritto un libro in cui tenta di fare i conti nelle tasche della Chiesa. La cifra che propone, logicamente, è enorme. Non è ben chiaro, però, se in quel "tesoro" ci abbia messo anche i tantissimi luoghi di culto, sparsi per l’Italia, né le migliaia opere d’arte, che la Chiesa custodisce e protegge, e che il mondo ci invidia. Nemmeno si ca­pisce se nel conteggio siano stati inclusi o­ratori, ospedali, scuole, università, conven­ti, monasteri, abbazie, edicole votive e tea­trini parrocchiali.Si guarda bene, quel si­gnore, dal ricordare a chi segue la trasmis­sione che tantissimi parroci, cittadini italia­ni, oltre al lavoro squisitamente pastorale, svolgono gratuitamente quello di custodi di beni culturali di grandissimo valore. Non si chiede perché nei secoli scorsi e ancora og­gi tanta gente, morendo, ha deciso di desti­nare alla Chiesa i propri beni. In studio qual­cuno tenta di riportare il discorso su un pia­no più razionale e meno emotivo. Niente da fare. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Passo dalla televisione al computer. Vado al­la posta e leggo la prima email: «Ti farà pia­cere, padre, sapere che in chiesa stamattina ho provato una gioia immensa nel contem­plare l’immagine della Madonna sull’altare. Sono triste e senza lavoro, ma mi sono sen­tita abbracciata da lei e ho appoggiato il mio capo sul suo grembo ma­terno. Ti confesso che non sono riuscita a seguire nem­meno la lettura del Vangelo. Mi riposavo guardando Ma­ria. Mi rifugio in lei. Sento tanto la mancanza della mia povera mamma, ma trovo tanto conforto nella madre celeste. Anita». Sorrido pen­sando a quel signore che fa i conti in tasca alla Chiesa cattolica, e – chissà perché – solo ad essa. Egli, infatti, co­me tanti altri di questi tem­pi, nell’ossessione che lo ammalia, ha dimenticato quale sia la vera, grande ric­chezza di questa realtà tean­drica e misteriosa. In ogni chiesa, piccola o grande, ric­ca di arte o povera come la stalla di Betlemme, adorna­ta di marmi policromi o di­pinta dall’imbianchino del paese, c’è qualcosa d’im­menso che la gente trova e che le parole mai potrebbe­ro raccontare.Il tesoro più grande della Chiesa è rappresentato dal­la presenza del suo Signore e della Vergine Maria; dal Vangelo e dai Sacramenti che le sono stati consegnati. La grandezza della Chiesa è nel­la sua capacità di ascoltare, consigliare, con­solare, assolvere dai peccati chi dal peccato si sente schiacciato e oppresso. Nella Chie­sa – una cappellina di campagna o la Basi­lica di san Pietro in Roma – tanta gente tro­va la forza per andare avanti, di riprendere fiato, di continuare a lottare e non cedere al­lo sconforto. «Quanto costa tutto questo, professore? Quanto costa la speranza ritro­vata, il desiderio di impegnarsi e fare il be­ne? Quanto costano i mille e mille volonta­ri di ogni tipo che rendono un servizio pre­zioso alla società civile?», verrebbe da chie­dere.È proprio così difficile capire che non ci sarà mai abbastanza denaro per compra­re il "riposo" che Anita ha trovato fissando la Madonna, o la vita del bambino strappa­to alla fogna dell’aborto dopo la confessio­ne della mamma? Tutto il resto – denaro, studi, strutture – sono solo strumenti per realizzare tutto questo. «La Chiesa – scrive­va Bernanos – dispone della gioia, di tutta la parte di gioia riservata a questo triste mon­do. Quello che avete fatto contro di essa, l’a­vete fatto contro la gioia…». E contro la po­vera gente, aggiungo io.
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