Tutti fuori. In un vitale dinamismo di "uscita". Fuori, sulle strade aperte della via pulchritudinis, la via del Vangelo. Perché solo uscendo si può rimanere fedeli a Cristo e alla natura propria della Chiesa. È la sollecitudine di un padre quella che definisce l’Evangelii gaudium, la prima esortazione apostolica di Francesco, che invita «a uno stato permanente di missione» e nasce dal «generoso», «improrogabile» bisogno di «rinnovamento», per «avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (n.25). Nell’Evangelii gaudium c’è tutto l’animo di ciò che abbiamo visto e ascoltato di papa Francesco. È un documento-chiave, corposo e singolare, foriero di spunti indicativi, che non si presta a banali riduzioni. Si potrebbe dire una sorta di regula pastoralis, di summa pastorale e al tempo stesso un incipit. Certamente una scommessa, un quaderno operativo aperto, un work in progress che non "chiude", come la missione stessa, il cui scopo principale è l’annuncio del cuore pulsante del Vangelo agli uomini e alle donne nella realtà di oggi. È infatti l’annuncio dell’allegria del Vangelo, concentrato sull’essenziale, negli accenti che gli sono propri – la bellezza, la bontà, la misericordia e quindi l’attrattiva – la priorità assoluta e il fine del cammino della Chiesa per Francesco, alla quale tutte le istanze, le istituzioni, le strutture vengono ricondotte: «L’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa» (15). E in questo senso l’esortazione è destinata a scuotere la compagine ecclesiale nei prossimi anni, invitando a emanciparsi da tutto quanto può far velo all’ampiezza creativa di tale respiro missionario. Affinché a tutti possa «giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio» (44) e «sia favorita la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia». Un no è quindi chiaramente rivolto «all’autopreservazione, alle strutture prolisse separate dalla gente, a gruppi di eletti che guardano se stessi» (27).
No a «una Chiesa preoccupata di essere al centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti». (49) No a una Chiesa intrisa di «mondanità spirituale che al posto della gloria del Signore, cerca la gloria umana» (93), nascondendosi dietro apparenze di religiosità. No a una «Chiesa dogana», irrigidita negli schemi: «La Chiesa è una madre dal cuore aperto», dove anche «la vita sacramentale non è un premio per i perfetti, ma un rimedio e un alimento per i deboli» (47). Si tratta di conversione, nella crescita fedele alla vocazione della Chiesa, un rinnovamento profondo alla luce del Kerygma, che ci interpella tutti, dall’ultimo dei credenti al Papa, perché anche lui è chiamato a vivere continuamente quanto chiede. È questa la sostanza della riforma alla quale ci introduce, e che riguarda anzitutto noi stessi. Avendo come punti cardinali la costituzione conciliare Lumen gentium sulla natura della Chiesa, il documento sulla conversione pastorale uscito dalla Conferenza della Chiesa latinoamericana ad Aparecida e i testi montiniani dell’Ecclesiam suam e dell’Evangelii nuntiandi, la road map proposta da papa Bergoglio propone alcune linee che possono «incoraggiare in tutta la Chiesa una nuova tappa evangelizzatrice piena di fervore e dinamismo», e si concentra su alcuni punti nevralgici. Uno degli aspetti, sul quale l’esortazione particolarmente insiste è la comunicazione del messaggio salvifico. In tutta la vita della Chiesa si deve «sempre manifestare che l’iniziativa è di Dio», che è Lui «che ha amato noi per primo e che è Dio solo che fa crescere»: «La gioia evangelizzatrice brilla sempre sullo sfondo della memoria grata» (13). Ben diciotto pagine sono dedicate all’omelia, al suo significato nel contesto della liturgia e alla sua preparazione. Il vademecum ad hoc, indirizzato ai sacerdoti, costituisce una novità nella storia recente del ministero petrino, sollecitato «dai molti reclami pervenuti in relazione a questo importante ministero». Sono pagine intense che si radicano nella preziosa lezione dei Padri della Chiesa, nelle suggestioni della teologia della predicazione di Hugo Rahner, e mettono in luce le ragioni e l’importanza della predicazione nell’economia dell’annuncio del messaggio salvifico. «Il predicatore – dice Francesco – ha la bellissima e difficile missione di unire due cuori che si amano: quello del Signore e quelli del suo popolo» (143). Il mancato rispetto della connessione tra l’amore alla Parola di Dio e l’amore che si deve all’uomo rischia di compromettere l’annuncio della stessa verità cristiana. Nel medesimo orizzonte ordinato alla missione trovano armonicamente il loro posto tutte le altre indicazioni dell’esortazione. Come il riconoscere che l’annuncio della gioia promessa da Cristo non può mai essere messo tra parentesi e viene sempre prima di ogni insegnamento riguardante l’agire morale. O il prendere atto che l’annuncio cristiano non si identifica con nessuna cultura: «Non possiamo pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti, nell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia». E ancora qui papa Francesco ripete con forza che i destinatari prediletti della gioia sprigionata dal Vangelo sono i poveri, i fragili, gli indifesi. È questa la preferenza di Dio. Che non può venire manomessa dai discorsi di chi a volte contrappone l’annuncio della verità alle opere sociali. Come se si potesse contrapporre la fede alla carità che si esprime nelle opere di misericordia. Il "cantiere" aperto da papa Francesco per tutti noi è immenso, ha i confini sterminati del mondo e di ogni cuore umano uscito dalle mani di Dio. Possono venire le vertigini. «Tuttavia – rassicura Francesco – non c’è maggiore libertà che quella di lasciarci portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera» (280).