Le recenti polemiche sulla Chiesa e l’Ici hanno messo in evidenza l’enorme ignoranza politica e massmediatica che circonda tutta la materia dell’immenso sforzo del mondo cattolico nell’impegno caritativo, ed è sperabile che un poco della nebbia si sia diradata dopo i puntuali e ripetuti interventi chiarificatori di questo giornale. Non si può tacere però il fatto che all’origine delle tornanti fole in merito sono alcune parti, molto circoscritte e del tutto minoritarie, le quali, tutt’altro che all’oscuro della realtà, hanno appreso bene la lezione di Cesare Sterbini nel libretto del
Barbiere di Siviglia,
secondo cui «La calunnia è un venticello...» che finisce con il divenire un tornado, dal quale sono spazzate via persone e cose. Ed allora viene naturale chiedersi il perché. Al riguardo occorre fare una osservazione preliminare. Come dovrebbe ormai essere ben noto, l’esenzione dalla imposta immobiliare è prevista dalla legge per una galassia di realtà, nelle quali sono comprese istituzioni cattoliche, ma che va ben al di là di queste, riguardando istituzioni di altre confessioni religiose nonché una pluralità di istituzioni laiche, alcune tradizionalmente vicine a partiti politici e sindacati, altre nettamente caratterizzate da un’impronta ideologica.
La polemica però, tanto aspra e violenta, ha riguardato solo la Chiesa cattolica, quasi fosse l’unica beneficiaria di una facilitazione che vuole favorire espressioni di solidarietà. E dunque: perché? Credo che non si sia lontani dal vero nell’individuare il movente autentico, ancorché dissimulato sotto lo sdegno per un “intollerabile privilegio” (che peraltro tale non è), nella ferma volontà di colpire l’impegno caritativo della Chiesa. Del resto, la memoria storica insegna che, questa, è una tornante tentazione di casa laicista. Basti solo pensare alla famigerata legge Crispi del 1890 sulle Opere pie che, con il pretesto di voler creare una rete pubblica di assistenza, non fece altro che espropriare, laicizzare e rendere pubblica la rete di opere sociali in gran parte di matrice cattolica, non creando però alcunché, giacché quella rete era già esistente, viva e vegeta espressione della società civile. Da qualche anno la questione è riaperta. La ragione è molto semplice: scalzare la Chiesa dai profondi radicamenti che ha nella società attraverso scuole, oratori, istituzioni di assistenza, strutture sanitarie e quant’altro, per ricondurre finalmente i credenti nel privato delle sacrestie, cioè là dove non danno fastidio a nessuno. Insomma, siamo dinanzi a un aspetto della complessa questione se la religione debba avere o no un rilievo anche pubblico, se la libertà religiosa sia solo la libertà di culto o non anche la libertà di pubblica testimonianza del valore di quanto professato, se la laicità dello Stato comporti l’astensione delle istituzioni pubbliche ovvero, tutto al contrario, un loro impegno per rimuovere gli ostacoli che impediscono alla società civile, e quindi alle comunità religiose che in essa vivono, di esprimersi. A ben vedere, però, la questione non tocca solo la libertà religiosa: per il cristiano nient’altro che libertà di poter uniformarsi al modello del Signore Gesù, il quale – come attestano gli
Atti degli Apostoli
– «passò facendo del bene»; la questione investe in pieno il modello pluralistico sotteso alla nostra Carta costituzionale, che suppone una società civile non ostacolata, ma promossa dalle istituzioni pubbliche.
Cioè la questione non tocca solo i cittadini credenti, ma tutti gli italiani, giacché pone in discussione le basi stesse della casa comune, i valori sui quali abbiamo convenuto di fondare la pacifica coesistenza nel rispetto delle diversità.