Nell’età moderna, la politica vive sotto il segno di un paradosso. L’agire politico è infatti qualificato dalla presenza e dall’iniziativa dei "partiti", che aspirano a conquistare la maggioranza dei voti per governare tutto il Paese e per il "bene di tutti" i cittadini. Ma i partiti, anche se ne nobilitiamo l’identità, distinguendoli radicalmente dalle antiche "fazioni", rappresentano pur sempre, e per definizione, movimenti, interessi e orientamenti "di parte". Ora, come può una "parte", per di più consapevole del suo essere "parte", pretendere di governare il "tutto"? La teoria politica moderna non è mai riuscita, nemmeno nei suoi esponenti più lucidi, a risolvere questo paradosso.Quando portiamo la nostra riflessione sull’impegno politico dei cattolici, come impegno "partitico", vediamo che le difficoltà, anziché diminuire, aumentano. Sappiamo che nell’aggettivo "cattolico" è implicito un riferimento all’universale: come è possibile costringere l’universalità cattolica nell’ambito, inevitabilmente particolare, di un "partito"? Delle due l’una: se i cattolici scendono in campo per difendere e promuovere valori universali e non particolari (ad esempio, i diritti umani) non ha senso che lo facciano costruendo un "partito". Se invece ritengono indispensabile costruire un "loro" partito, per portare avanti istanze che, benché orientate al bene comune, risentono inevitabilmente delle contingenze storiche e possiedono di conseguenza valenze occasionali e accidentali (come è il caso, ad esempio, dei progetti di riforma tributaria o dei piani di sviluppo industriale o di risanamento economico), troveranno inevitabilmente al loro fianco – e con legittima, reciproca soddisfazione – chi cattolico non è, ma condivide l’ ideologia e la prassi del partito. In questo caso, però, l’etichetta di "partito cattolico" corre il rischio di divenire inappropriata ed è meglio optare per un’etichettatura diversa che non faccia menzione della fede degli aderenti (come nel caso del Partito popolare). Quindi, anche in questo seconda ipotesi, i cattolici corrono il rischio di ritrovarsi senza un partito veramente "loro". Come se ne esce? Sono decenni che questa domanda viene rivolta ai teorici della politica, senza che si sia mai ottenuta da loro una risposta soddisfacente. La politica, però – chi non lo sa? – non è teoria, ma prassi; è l’arte del possibile e le sue contraddizioni teoriche possono serenamente convivere con mille diverse legittime forme di soluzione pratica dei problemi. Nulla di scandaloso. Non è nemmeno scandaloso, pertanto, che i cattolici militino in partiti diversi e antagonistici, continuando a qualificarsi espressamente come cattolici: anche in questo modo si può promuovere il bene comune.C’è un solo scandalo che i cattolici in politica devono evitare. Non devono mai cedere alla tentazione del cinismo, di quel cinismo che va a nozze con l’opportunismo, che ritiene che tutto sia negoziabile, che nulla abbia un valore assoluto, che il fine giustifichi i mezzi, che il "realismo" debba essere la parola d’ordine dei politici, che tutto possa essere fatto, purché se ne ricavi un adeguato profitto. Il cinismo, che rappresenta la fase matura, e probabilmente definitiva, del "secolarismo", è la dimensione che assume il relativismo in politica. Lasciamo il cinismo a coloro che cattolici non sono e, se questo comporta un prezzo, paghiamolo fino in fondo. Dai politici cattolici dobbiamo pretendere preparazione, sobrietà dei costumi, buona volontà; ma soprattutto dobbiamo chiedere loro di agire e di imparare ad agire con intelligenza per il bene comune, senza mai arrendersi però all’idea che la vita umana si svolga nel segno del primato della politica.Le dimensioni del bene umano, quelle di cui papa Benedetto XVI invita tutti gli uomini a farsi carico, usando la forte espressione «ecologia umana», non hanno valenza politica; vanno affrontate e risolte non attraverso la dialettica dei partiti, ma secondo giustizia. Chi è cinico sorriderà leggendo queste parole. Chi non lo è troverà la conferma dell’estremo paradosso dell’esistenza umana (e della politica, nel senso più alto del termine): dobbiamo operare per il bene anche di coloro che non credono al bene e dobbiamo rendere giustizia anche a coloro che l’irridono.