Esistono una giustizia del "già" e una giustizia del "non-ancora". La giustizia cresce, evolve e involve nel tempo, in base al senso morale delle persone, delle civiltà, e delle generazioni. "Non è giusto", ripetuto da individui e da comunità, è il primo motore di ogni allargamento degli orizzonti della giustizia e quindi dell’umanità. La maggioranza delle persone formulano il loro giudizio di giustizia o ingiustizia in base allo "scarto" tra quanto osservano e la giustizia già codificata nelle leggi o nelle consuetudini di un popolo. Sono l’approvazione della giustizia e il biasimo dell’ingiustizia la base per la costruzione della giustizia della nostra vita.
Una prima persecuzione di chi pratica la giustizia arriva dalla convivenza con persone che la giustizia non la amano e cercano l’ingiustizia - anche quando l’ingiustizia nasce dal dire "giusto" e "ingiusto" alle cose sbagliate. Il mercato è pieno di queste persecuzioni, quando imprenditori onesti e retti si trovano a dover soffrire molto, da ogni punto di vista, solo perché operano in settori dove il senso di giustizia degli altri è interamente addomesticato alle ragioni dei profitti.
Le imprese oneste vivono grazie all’onestà dei loro lavoratori, clienti, fornitori, concorrenti. La disonestà e le ingiustizie dei loro interlocutori inquinano la loro aria e la loro terra, e i frutti non arrivano. La virtù più grande richiesta, ieri oggi e sempre, a imprenditori giusti è riuscire a resistere quando si trovano accanto persone e istituzioni ingiuste. Queste sono autentiche persecuzioni, e chi resiste e non molla deve sentirsi chiamare "beato".
L’esperienza della giustizia e dell’ingiustizia, poi, oltre a informare il nostro comportamento può portarci ad agire per ridurre o eliminare l’ingiustizia attorno a noi. È qui che si fa l’esperienza di un’altra forma di persecuzione. La storia e il presente dell’umanità ci mostrano una folla di perseguitati a causa dell’ingiustizia che vedono perpetrata su altre persone o sul mondo. Come accade per la misericordia, ciò che spinge a reagire contro le ingiustizie che osserviamo non è primariamente il desiderio di altruismo o filantropia.
È qualcosa di molto più radicale che si muove dentro le nostre viscere, che all’inizio assomiglia più all’eros che al dono. Dopo, soltanto dopo questo primo sentimento, si attivano l’intelligenza e la razionalità, come "ancelle" del cuore indignato. Dentro le persecuzioni per la giustizia ci si "ritrova" inseguendo uno sdegno, obbedendo a una logica diversa da quella del calcolo costi-benefici.
La prima molla che ci fa reagire contro una ingiustizia è allora una forma vera e profonda di "dolore". Stiamo male, "sentiamo" un dolore morale e a volte fisico, e, qualche volta, ci mettiamo in moto. Senza provare dolore per un mondo che ci appare ingiusto non nasce alcun senso di giustizia. Un dolore che può nascere anche quando l’oggetto dell’ingiustizia non sono esseri umani ma animali, la terra, l’acqua, la natura, perché il dolore per l’ingiustizia del mondo è più grande del puro dolore umano.
Finché ci saranno persone che coltivano un senso morale di giustizia, e finché gli umani avranno una vita interiore che li fa capaci di sentire questo speciale tipo di sofferenza morale, avremo sempre non rassegnati alle ingiustizie capaci di lottare per ridurle, perseguitati da chi ottiene vantaggi da quei comportamenti ingiusti.
Ma c’è, appunto, un terzo tipo di persecuzione (e certamente altri). Le persecuzioni a causa della giustizia del "non-ancora". Ci sono persone che hanno il dono di vedere, soffrire e lottare per una giustizia che non è ancora riconosciuta come tale dalla società nella quale vivono. Non si limitano a denunciare le violazioni della giustizia riconosciuta dalla loro generazione. Fanno anche questo, ma hanno ricevuto il dono di "occhi del cuore" diversi che consentono loro di vedere e cercare una giustizia che leggi e coscienza collettiva tardano a riconoscere. Ma loro la vedono, ci soffrono, agiscono. Patiscono per ingiustizie non sentite ingiuste dagli altri, perché considerate normali dalla tradizione, dalla vita, persino dalla natura delle cose. Sentono nelle loro carni che nel mondo c’è una ingiustizia nascosta dietro ciò che la legge non vieta o magari incoraggia, e poi iniziano processi di denuncia, di liberazione, e arriva puntuale la persecuzione. Si trovano contro le leggi, non solo quelle fatte per difendere bassi interessi iniqui, ma anche quelle fatte in nome della giustizia.
Anche le leggi, come le scarpe e i vestiti, diventano spesso strette e logore e devono essere cambiate, altrimenti fanno male e non ci coprono più. I cercatori della giustizia del "non-ancora" continuano nella storia la funzione profetica. I profeti ricevono sguardi capaci di vedere ingiustizie dove gli altri vedono ancora giustizia, a chiamare ingiusto ciò che gli altri chiamano giusto, a provare una sofferenza che la società non capisce, a lottare per cose che agli altri sembrano inutili o addirittura dannose, a riconoscere diritti e doveri prima che appaiano a tutti come tali.
Le persecuzioni per la giustizia del "già" riescono a suscitare l’empatia e la compassione dei tanti concittadini umani e giusti. Le persecuzioni per la giustizia del non-ancora avvengono invece nella "solitudine", che è un tratto specifico di questa giustizia diversa. Nessuno fa marce notturne, né fiaccolate, né scioperi della fame per le prime battaglie per le giustizie ancora invisibili. I profeti sono sempre soli.
La giustizia del "non-ancora" è fondamentale per lo sviluppo morale dei popoli, come sono fondamentali i profeti. Dietro ogni diritto che oggi è riconosciuto e tutelato c’è qualcuno che ieri ha sofferto per la sua assenza, che si è indignato ed è stato male per quell’ingiustizia non considerata ancora tale. Dal quel dolore dell’anima è partita un’azione collettiva, e sono arrivate le persecuzioni. Sulla terra dei giusti c’è qualcuno che, come gli antichi (e nuovi) padri mercedari, sente una chiamata a fare il "voto di redenzione" per liberare gli schiavi della giustizia del "già", prendendo il loro posto.
È così che cresce il senso morale di tutti, che si sposta in avanti il confine della giustizia. Ogni tanto dovremmo ricordare ai nostri figli e a noi stessi le storie e il tanto dolore nascosti dietro certi articoli delle nostre leggi. È anche la memoria collettiva a tenere vivo e vigile il nostro senso morale, e quando questa si affievolisce le comunità tornano indietro, si vanifica il dolore dei martiri per la giustizia e si oltraggia il loro sangue versato.
Tutte le volte che la storia retrocede nel terreno della giustizia - lo abbiamo visto molte volte, e continuiamo a vederlo - prima c’è una eliminazione dello "scarto" tra i fatti che osserviamo e il nostro senso morale. Diventa normale licenziare qualcuno per la sua "razza", falsificare i bilanci delle imprese, erigere muri dove i genitori avevano dato la vita per abbatterli (i muri - di cemento, di filo spinato o di sguardi - sono tutti uguali). Il primo atto che deve compiere chi ama la giustizia è allora coltivare e alimentare il senso morale nei bambini e nei giovani. A partire dalla scuola, dove ridurre la storia, la letteratura, la poesia in nome delle tecniche "utili" significa diminuire nella futura generazione il senso di giustizia e la capacità di resistenza all’ingiustizia - nelle scuole e nelle università "tecniche" dobbiamo aumentare le discipline umanistiche, se vogliamo sperare nella giustizia in economia e nelle tecniche di costruzione delle "macchine".
Ma c’è di più. Le persecuzioni dei profeti non arrivano solo da ingiusti e malvagi. Giungono anche dai "giusti del già". Spesso i cercatori della giustizia del già diventano persecutori dei "giusti del non-ancora". Gli scribi e i farisei, gli amici di Giobbe, il Sinedrio, erano in genere persone e istituzioni che credevano e difendevano la giustizia del loro tempo: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei…». Giustizie diverse, e la seconda persecutrice della prima. L’incomprensione da parte delle componenti buone e giuste della propria comunità è tipica di ogni esperienza profetica.
Si creano delle fratture, a volte vere e proprie persecuzioni, all’interno dello stesso "popolo dei giusti", perché la giustizia del "non-ancora" appare ingiusta, ingenua, imprudente e dannosa a chi cerca la giustizia del "già". Questa specifica persecuzione, questo "fuoco amico", è tra le sofferenze maggiori dei cercatori della giustizia del "non-ancora", ma una sofferenza inevitabile nell’avanzamento della giustizia sulla terra. Qualche volta i giusti del "già", in un incontro decisivo con la giustizia del "non-ancora", riescono a capire che la loro giustizia deve aprirsi a un "oltre" per non diventare ingiusta. E così che Saulo, persecutore in nome della sua giustizia secondo la legge, diventa Paolo perseguitato per una giustizia nuova. Capiamo che la nostra giustizia deve morire per risorgere, deve rigenerarsi.
Donare il mantello, perdonare sette volte, fare un miglio con un fratello non ci bastano più. Sentiamo che non siamo giusti se non doniamo anche la tunica, se non facciamo il secondo miglio, se il perdono non diventa infinito, per tutti, per sempre. Le nostre giustizie invecchiano, muoiono molte volte, e molte volte devono risorgere per poi reimparare ancora a morire. Il Vangelo accomuna la beatitudine dei perseguitati per la giustizia a quella dei poveri: di entrambi è già "Il Regno dei cieli". Esiste un’amicizia, una fratellanza tra i poveri e i perseguitati per la giustizia. Sono entrambi poveri, sono entrambi perseguitati per la giustizia.
Chi cerca la giustizia se non era già povero ci diventa in seguito alle persecuzioni. E le povertà sono anche persecuzioni che nascono dalla giustizia negata, quella del "già" o quella del "non-ancora". Ci manca la giustizia del "già", ma ancor di più ci manca la giustizia del "non-ancora">. Troppo pochi sono i profeti. «Beati i perseguitati a causa della giustizia, di essi è il regno dei cieli».
l.bruni@lumsa.it