Papa Francesco dice «Il volto di Gesù è svuotato». È il volto di tanti fratelli e sorelle umiliati, resi schiavi. È il volto dei tanti rifugiati, che anche in queste ore respingiamo dalle nostre coste, che non vogliamo accogliere. Ospiti indesiderati di un continente sempre più alla deriva e in balìa dei propri egoismi. È il volto di chi, appena salvato dalla morte in mare, spera di trovare finalmente un approdo sicuro e invece vede solo muri di diffidenza e ostilità. I rifugiati hanno il volto scavato dalla fame, dalla sabbia del deserto, dal sale del mare. Hanno il volto rigato dalle lacrime versate mentre lasciavano la loro terra, mentre salutavano per sempre i propri cari. Hanno il volto segnato dalle torture subite, delle notti in strada, dal freddo e dalla malattia. Il volto di Cristo è svuotato, proprio come quello di un rifugiato. Francesco parla di «umanesimo cristiano». Un umanesimo che si realizza solo attraverso la vicinanza a quell’umanità che è ai margini, esclusa, piegata. Guardiamo finalmente e definitivamente in faccia questa umanità che chiede giustizia. Non distogliamo lo sguardo. I rifugiati sono l’umanità ai margini delle nostre società. Sono lì pronti ad afferrare una mano tesa, che li sollevi dalla disperazione. Confidano nei valori in cui noi diciamo di riconoscerci e per cui loro, spesso, hanno perso tutto. I rifugiati ci richiamano continuamente alla necessità di un mondo che non lasci indietro nessuno, che sappia rispettare e aspettare. Ci ricordano che i bisogni primari come il cibo, la salute, un posto dove dormire appartengono a persone concrete, hanno un volto. I diritti umani fondamentali hanno il volto di uomini e donne assetati di giustizia. Bisogna inchinarsi davanti a quell’umanità in cammino che ha il volto di Cristo. Francesco chiede che «la Chiesa sia madre». Una madre che riconosce tutti i suoi figli, soprattutto i più bisognosi. La Chiesa sia come quelle mamme che nel passato lasciavano, insieme ai neonati, delle medaglie spezzate a metà, con le quali speravano, presentando l’altra metà, di poter un giorno riabbracciare i propri figli. La Chiesa sia ultima con gli ultimi, come chi vive in un Paese straniero, povera per poter un giorno riabbracciare i propri figli. Come una mamma rifugiata, sia sostenuta dalla fede, dalla speranza e dall’amore per i propri figli. Quei figli che è stata costretta ad abbandonare per tentare di metterli al sicuro o peggio quei figli persi durante la fuga disperata dall’orrore. Francesco, il Papa, invita alla ricerca del bene comune, che non si raggiunge con la negoziazione, ma con il dialogo. «Il miglior dialogo è fare concretamente qualcosa insieme». Partendo dal dialogo e dall’incontro con i rifugiati che vivono nelle nostre città, ascoltando le loro storie, si può costruire una nuova società. Il dialogo è incontrarsi per condividere un pasto. Il dialogo è parlare e scoprirsi amici. Il dialogo è vivere nello stesso quartiere e fare un pezzo di strada insieme. È trovarsi seduti uno accanto all’altro tra i banchi di scuola e scoprire la bellezza dell’incontro quotidiano. Il dialogo è capire finalmente che la libertà, il futuro, la pace sono di tutti o non sono di nessuno.