Eccoci nuovamente alla vigilia di un nuovo piano di rilancio della scuola, come annunciato dal premier Renzi. Verrebbe da dire l’ennesimo. Ma forse non è più il caso (e il tempo) di cedere al pessimismo o all’idea che comunque alla fine "nulla cambierà". E allora vale la pensa di sognare ancora una volta (non ci si può stancare di farlo) la scuola nella quale sperare per rilanciare un sistema che è fondamentale per il futuro del Paese.Immagino lo stupore se questo piano di rilancio ponesse davvero al primo posto i docenti, in cattedra e aspiranti. Serve un sistema capace di valorizzarli: di premiare i capaci e meritevoli e, nello stesso tempo, di spronare chi ha perso motivazioni ed entusiasmo. Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha parlato di merito e di percorso di formazione nuovi per i futuri docenti. Bene. Soprattutto se guarderà a un percorso di formazione degli aspiranti prof che in corso d’opera verifichi non solo la preparazione, ma anche il saper insegnare.Soltanto così la scuola può tornare a essere "fucina" nella quale costruire il futuro della nostra società. Servono, perciò, piani di studio calibrati in considerazione dei tempi attuali, senza dimenticare però che servono basi solide (gli "antichi" saper leggere, scrivere e far di conto) anche per affrontare le novità. Troppo spesso si parla della necessità di fare informatica sin dalle elementari, ma poi ci si dimentica che molti adolescenti nelle prove internazionali dell’Ocse-Pisa raggiungono scarsi risultati nella comprensione di un testo in italiano.Nella scuola in cui spero un posto lo occupa la formazione professionale, vittima di stereotipi e pregiudizi. Premesso che anche in passato l’Italia ha beneficiato delle capacità di molti ragazzi passati da quei centri, oggi la formazione professionale deve recuperare davvero un ruolo paritario con il percorso scolastico tradizionale. "Imparare facendo" non è uno slogan, ma una realtà educativa che ha già dimostrato di essere fertile di successi e di motivazioni.In questi anni sulla scuola e sui docenti si sono riversate una marea di "educazioni", complice la frequente latitanza della famiglia. Spero, invece, che la scuola possa tornare a essere il luogo dell’inclusione (si pensi agli studenti provenienti dall’estero e a quelli disabili) là dove non si lascia solo e indietro nessuno (sostenendo i meritevoli e aiutando chi è in difficoltà). Un’utopia? Non credo. La scuola al suo interno ha donne e uomini disposti a mettersi in gioco tutti i giorni, con passione e dedizione verso i ragazzi a loro affidati. Si tratta di riconoscerlo, di sostenerli e di attuare davvero l’autonomia scolastica, in cui ogni istituto diventi protagonista del proprio lavoro. Così il sogno può diventare realtà.