Sembra proprio che il maxi-provvedimento sulla scuola che Matteo Renzi intende portare in Consiglio dei ministri venerdì prossimo conterrà novità importanti per un settore che il premier considera – parole sue – «un asset strategico per il futuro del Paese». «Vi stupiremo», ha aggiunto in merito ai contenuti del "pacchetto scuola", al quale pare stia lavorando in prima persona. Una frase che desta qualche preoccupazione, perché un minimo di memoria storica ci ricorda che negli ultimi anni ogni volta che la politica "ha stupito" noi insegnanti l’ha fatto in negativo: mancato rinnovo del contratto (da 5 anni!), tagli agli organici, alle ore di insegnamento, ai fondi per il funzionamento degli istituti, brusca introduzione di novità tecnologiche di cui spesso si stenta a vedere l’utilità ecc.
Verrebbe quindi da dire a Renzi: «Per carità, signor presidente, questa volta ci pensi bene prima di stupirci!». Ma chissà che Renzi non possa sorprenderci in bene: ce lo auguriamo tutti. Vorrei però fissare rapidamente un paio di punti su cui, lo dico da "addetto ai lavori", piacerebbe "non essere stupiti". Primo: qualcuno sussurra che si voglia portare la durata della scuola secondaria dagli attuali 5 anni a 4, come accade già in alcuni Paesi europei (ma non tutti). I fautori di questa soluzione affermano che essa renderebbe i nostri diplomati più "competitivi" (parola magica per tanti politici...), consentendo loro di accedere all’università un anno prima. Ma tale nobile motivazione è la classica foglia di fico: in realtà questa decisione servirebbe a tagliare migliaia di cattedre (con conseguenti risparmi per le casse pubbliche). L’aspetto più grave, tuttavia, è un altro: una mossa di questo tipo porterebbe allo smantellamento degli attuali licei, con la preparazione che forniscono e che – nonostante quanto spesso si sente dire – ci invidiano in tutto il mondo. Non vorremmo poi essere stupiti da un’abolizione o da uno svuotamento di senso dell’esame di Stato.
È vero, la maturità ha un costo per le finanze pubbliche, però è un momento fondamentale di crescita per i ragazzi e un importante passaggio simbolico, in una società che di simboli ne ha sempre meno.Insomma, non si ceda alla tentazione di stupire demolendo qualcosa d’importante. La scuola italiana non è «una palude» che ha bisogno di essere prosciugata (come ha scritto domenica Mario Ajello sul Messaggero), ma una realtà complessa, con luci e ombre (e sfido chiunque a dimostrarmi che non prevalgono nettamente le prime). Ha soltanto bisogno che la politica la aiuti a migliorarsi. Ed effettivamente non è questione da poco.