giovedì 23 giugno 2016
La coabitazione non è uguale al matrimonio, perché rende più instabili le relazioni e crea maggiori incertezze nella vita dei figli. (Pierpaolo Donati)
Stabilità dei genitori: risorsa che va raccontata
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Pubblichiamo una sintesi della relazione presentata da Pierpaolo Donati al convegno «Famiglie forti, comunità forti – Sostenere le relazioni familiari per generare bene comune» che si è svolto nei giorni scorsi a Trento.Si discute su che cosa 'è' e 'fa' famiglia. Da un lato, sembra che esista un grande consenso sul fatto che la famiglia sia un bene comune, dall’altro ciascuno interpreta la famiglia a suo modo. Non è per nulla chiaro come i diversi tipi di famiglia costituiscano un bene comune per i propri membri e per la comunità. Il punto è che, appena ci si chiede quale sia il significato dell’equazione 'famiglia uguale bene comune', le interpretazioni divergono radicalmente. Nelle survey nazionali e internazionali la risposta prevalente è che la famiglia è un bene comune in quanto è al top dei valori condivisi come luogo degli affetti, dell’amore, della solidarietà. In questa accezione, la famiglia è un bene comune semplicemente perché la stragrande maggioranza della popolazione condivide l’attaccamento ad un bene privato. Solo una minoranza vede e sostiene le funzioni sociali della famiglia, quelle che essa esercita per la società. (In Italia tale minoranza è circa del 30%). E allora ci si chiede: il bene comune che la famiglia rappresenta consiste solo in un valore condiviso che ciascuno vive e interpreta privatamente o consiste in qualcosa di più e di diverso? Vorrei qui chiarire che la famiglia è un bene comune in un senso molto diverso da quello che circola sui mass media. Il bene comune non è un bene di tipo aggregativo che consiste nel fare sì che gli individui possano godere di un benessere individuale privato, ma è invece un bene di tipo relazionale, che consiste nel condividere delle relazioni da cui derivano sia i beni individuali, sia i beni della comunità intorno. Poiché la realtà sociale umana, in primo luogo la famiglia, è fatta di relazioni, solo con un pensare relazionale possiamo vedere qualcosa che altrimenti rimane nascosto, latente, non detto e indicibile. Il mondo delle relazioni è un mondo nel quale noi viviamo come nell’aria, ma di cui nella vita ordinaria ci rendiamo poco o per nulla conto perché le diamo per scontate, come l’aria appunto. Buona parte delle pratiche di counseling e varie modalità terapeutiche cercano di portare alla superficie queste relazioni, renderle più coscienti e riflessive, o almeno illuminarle un po’ per padroneggiarle meglio. Ma l’impresa non è facile, perché, per cogliere la relazione, sono necessarie osservazioni gestite esse stesse con quella che io chiamo 'riflessività relazionale. Non possiamo capire una dinamica famigliare se non la intendiamo come un effetto emergente dagli stessi beni o mali relazionali che produce. La famiglia non è un aggregato di individui (non è come l’aria, cioè non è un aggregato di molti gas). La famiglia è una relazione sociale che emerge, se emerge, da un suo genoma costitutivo. Non viene all’esistenza se non si genera come tale. Il genoma sociale della famiglia è una struttura circonflessa fra quattro elementi: la motivazione del dono, la regola della reciprocità, la sessualità di coppia e la generatività. Ciò che chiamiamo famiglia nelle statistiche demografiche e sociali è un’altra cosa, sono semplicemente aggregazioni di individui. La differenza fra le persone non è una relazione qualunque. Si tratta di una relazione di reciprocità generativa. Da questa realtà traiamo l’idea che l’amore è saper generare il differente, riconoscerlo, offrirlo come dono, viverlo come dono, la qual cosa suppone una relazione sui generis di piena reciprocità. In questa e solo in questa relazione (le relazioni sono tutte diverse fra loro), la differenza non è più una pura differenza, non è un assoluto, ma è una relazione intesa come uno scambio di ricchezza, un valore aggiunto per chi sta in quella relazione, è un bene relazionale, che sta nella relazione, non fuori di essa. Se la differenza viene separata dalla relazione che costituisce la differenza, abbiamo la crisi di chi sta in relazione. La relazione cessa di essere una differenza e diventa una cosa, viene reificata, e generalmente porta al degrado. La famiglia è un bene relazionale se i suoi membri sono capaci di gestire le differenze. I beni relazionali sono beni che consistono di relazioni, non sono cose, non sono prestazioni funzionali, non sono idee, niente di tutto questo, sono relazioni. Siamo ora in grado di comprendere perché la famiglia sia un bene comune non in quanto bene pubblico, né in quanto bene privato, ma in quanto bene propriamente relazionale. La famiglia è un bene relazionale primario. A livello mondiale, il dibattito sulla famiglia è oggi centrato su una domanda di fondo: la famiglia naturale ('normo-costituita', sia nucleare sia estesa) è ancora una risorsa per la persona e per la società, oppure invece è una sopravvivenza del passato che ostacola l’emancipazione degli individui e l’avvento di una società più libera, ugualitaria, e felice? Le ricerche empiriche danno risposte interessanti. Esse mostrano che la famiglia naturale è soprattutto una risorsa, anziché un freno, per il benessere della società. Le ricerche empiriche che hanno comparato gli effetti dei differenti stili di vita sulle persone e sulla società mostrano che le coppie sposate o orientate al matrimonio sono più generative di beni relazionali di tutte le altre forme. Felici sono quei nubendi che non si sposano primariamente per il solo fatto di essere innamorati, ma innanzitutto perché mirano al bene della loro relazione sponsale e ai beni che derivano da tale relazione. Il fatto di sposarsi costituisce un valore aggiunto per le persone e per la società, in quanto il patto matrimoniale migliora la qualità delle relazioni di coppia e ha importanti conseguenze positive (biologiche, psicologiche, economiche e sociali) per bambini e adulti. La coabitazione non è uguale al matrimonio, perché rende più instabili le relazioni e crea maggiori incertezze nella vita dei figli. Il divorzio (o il non arrivare a sposarsi) aumenta il rischio di fallimento scolastico dei figli. La stabilità delle relazioni famigliari emerge come un bene prezioso, senza il quale tutti i membri della famiglia sono a rischio. In particolare la stabilità è decisiva per la buona socializzazione dei figli. Il divorzio e le nascite fuori del matrimonio aumentano il rischio di povertà sia per i figli sia per le madri. La teoria della individualizzazione della coppia e del matrimonio è sostanzialmente falsificata; infatti, nella coppia gli individui cercano bensì la loro identità autonoma, ma questa si costituisce solo nella trama relazionale che connette le famiglie di provenienza e le reti primarie (amicali, di lavoro, di vita relazionale quotidiana) in cui i partner sono collocati. Le famiglie normo-costituite realizzano la solidarietà fra le generazioni assai più e meglio di altre forme di vita. I bambini che vivono con i loro propri genitori godono di migliore salute fisica e psicologica, nonché hanno maggiori speranze di vita, rispetto a quelli che vivono in altri contesti. L’analisi di tre differenti strutture famigliari, in particolare delle famiglie con coppia genitoriale unita, famiglie ricomposte e famiglie monogenitoriali, evidenzia la maggiore fragilità di queste due ultime strutture famigliari. La rottura del legame coniugale è correlata ad una certa chiusura verso il mondo esterno e favorisce una visione intimistica della vita famigliare poco incline ad assumersi delle responsabilità nei confronti della comunità. Particolarmente carente è la capacità delle famiglie monogenitoriali di realizzare la trasmissione culturale e la solidarietà fra le generazioni, perché queste famiglie che devono affrontare in solitudine le sfide legate alla crescita dei figli, così come le pressioni dell’ambito lavorativo. I figli adolescenti di coppie sposate hanno un rischio di devianza (incluso l’abuso di alcool e droghe) minore dei figli di genitori soli o di coppie che sono solo conviventi o separate. I figli di genitori divorziati soffrono di maggiori infermità psichiche e di stati ansiogeni. Si può dire che si stia oggi aprendo una fase storica nuova, dopo la deistituzionalizzazione della famiglia. Si prospetta la possibilità che i cambiamenti in atto possano generare strutture e assetti relazionali che conferiscono un nuovo senso istituzionale alla famiglia. Si tratta di prendere atto che, sul piano empirico, per quante mutazioni la famiglia possa subire, il suo genoma costitutivo non cessa di essere la fons et origo della società. Senza questo genoma, la società perde le qualità e i poteri propri di quell’organismo vivente (cellula fondamentale) che, anziché essere un peso per la società, costituisce il fattore primario di umanizzazione delle persone e della vita sociale. Contrariamente a quanto troviamo affermato sui mass media, la ricerca empirica ci dice che la famiglia, nucleare è la risorsa primaria della società e rimane la sorgente vitale di quelle società che sono più portatrici di futuro. La ragione di ciò è semplice: è dalla famiglia che proviene il capitale umano, spirituale e sociale primario della società. Il capitale civile della società viene generato proprio dalle virtù uniche e insostituibili della famiglia. La società globalizzata potrà trovare un futuro di civiltà se e nella misura in cui sarà capace di promuovere una cultura della famiglia che la ripensi come nesso vitale fra la felicità privata e la felicità pubblica.
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