Se il silenzio potesse parlare, si dice talvolta, ne ascolteremmo delle belle. In realtà un caso lampante di silenzio “parlante” si è verificato ieri pomeriggio nell’Aula Nuova del Sinodo, dove il Papa ha aperto (fatto senza precedenti) l’Assemblea dei vescovi italiani. Tolti, infatti, l’applauso caloroso di benvenuto e quello convinto, scrosciante e prolungato alla fine, gli oltre 300 presenti (insieme ai vescovi c’erano il personale della Cei, i giornalisti e numerosi invitati) hanno seguito il discorso di Francesco con un’attenzione totale. E se non fossimo contrari per principio alle frasi fatte, davvero verrebbe da dire che non si sentiva volare una mosca.
Qual è il significato reale di quello che molti osservatori hanno definito fin da subito ben più che un mero dato di cronaca? In quel silenzio, a ben vedere, possiamo leggere almeno tre elementi di sostanza. Il primo è che questo incontro del corpo episcopale italiano con il Vescovo di Roma e Primate d’Italia è stato vissuto da tutti come una tappa speciale e come un appuntamento da non perdere. In fondo è vero che il Papa incontra i vescovi italiani tutti gli anni in occasione delle loro assemblee generali. E non è mai un incontro di routine.
Ma in questo appuntamento c’era un qualcosa in più, un surplus di importanza, la percezione di essere in un momento di snodo per il cammino della Chiesa in Italia. Così è stato, infatti. E perciò questo discorso – che non è esagerato definire fondativo – è già da considerare una sorta di bussola per il futuro. Papa Bergoglio vi ha racchiuso infatti tutta la sua ecclesiologia, applicandola alla situazione della Chiesa italiana e tenendo insieme con estrema finezza i valori naturalmente derivanti dalla fede in Cristo (vita e famiglia soprattutto) con la loro declinazione nelle situazioni di ogni giorno (attenzione al lavoro, accoglienza degli immigrati, vicinanza e «compassione su chi è ferito negli affetti e vede compromesso il proprio progetto di vita»).
Tuttavia, a parlare di tutto questo, Francesco è arrivato solo dopo aver ricordato l’identità e la missione dei vescovi. Identità e missione che non si possono non comprendere se non a partire dal radicamento in Cristo.
Il secondo elemento presente nella silenziosa attenzione con cui le parole del Pontefice sono calate sull’assemblea sta in un solo termine. Unità. Non è un caso che Francesco abbia citato a questo proposito Paolo VI, facendo distribuire un discorso pronunciato proprio da Montini all’Assemblea della Cei del 1964. E soprattutto non è stata casuale la risposta data a chi nei giorni scorsi aveva fatto a mezzo stampa la distinzione tra uomini di Bergoglio e non di Bergoglio all’interno della presidenza della Cei. "Nella presidenza sono tutti uomini del Papa, tutti», ha sottolineato. E il messaggio inviato ai seminatori di zizzania più esplicito non poteva essere.
Infine quel silenzio – ed è il terzo elemento - era premessa per comprendere fino in fondo ed esprimersi opportunamente nel successivo dibattito a porte chiuse. Non è da sottovalutare quest’altra innovazione introdotta dal Papa. Mai infatti dopo il suo discorso all’Assemblea un Pontefice si era intrattenuto per uno scambio di idee con i confratelli vescovi di tutta Italia. "Anche così si edifica la Chiesa", ha detto il Pontefice nel suo discorso. Si chiama dialogo, si chiama collegialità. In una parola si chiama comunione. Che quel silenzio di ieri ha espresso plasticamente.