Un incontro tra amici. Con un dialogo appassionato, con domande e risposte a 360 gradi. È quello che si è tenuto oggi, in Aula Paolo VI, tra Papa Francesco e i membri della Comunità di vita cristiana (CVX) - Lega Missionaria Studenti d’Italia. Circa 5.000 persone. Di seguito le domande di alcuni partecipanti e le risposte a braccio del Papa. In fondo il testo del discorso scritto che Francesco però non ha letto. Paola: Santo Padre – non è un modo di dire … Sono Paola. Presto servizio al carcere di Arghillà, Reggio Calabria. Lì incontro molta sofferenza e tutte le contraddizioni del nostro mondo. Le chiediamo una luce. Tra di noi, in questi ambienti, è facile parlare di speranza, è una parola che ci è familiare; ma come farlo con un ergastolano? Con un uomo che è definito “fine-pena-mai”? E poi volevo chiederle anche come affinare la nostra coscienza, in maniera tale che stare insieme a chi soffre non sia per noi una semplice beneficienza, ma riesca a convertire il nostro cuore, profondamente, e ci renda capaci di lottare con coraggio per un mondo più giusto? Grazie, Santo Padre, perché fa sentire ciascuno di noi, in qualunque condizione ci troviamo, un figlio amato. Papa Francesco: Paola, qui ho scritte le tue due domande – sono due! – tu sai che a me piace dire – e un modo di dire, ma è la verità del Vangelo, eh? – che dobbiamo uscire e andare fino alle periferie. Anche, uscire per andare alla periferia della trascendenza divina nella preghiera, no? Ma sempre uscire. Il carcere è una delle periferie più, più brutte, [con] più dolore … Andare in carcere significa prima di tutto dire a se stesso: “Se io non sono qui, come questa, come questo, come questa, come questo, è per pura grazia di Dio”. Pura grazia di Dio. Se noi non siamo scivolati in questi sbagli, anche in questi reati o crimini, alcuni forti, è perché il Signore ci ha presi per mano. Non si può entrare in carcere con lo spirito di “ma io vengo qui a parlarti di Dio, perché abbi pazienza, perché tu sei di una classe inferiore, sei un peccatore”: no, no! Io sono più peccatore di te, e questo è il primo passo. Ma, nel carcere uno può dirlo con tanto coraggio, ma dobbiamo dirlo sempre: quando noi andiamo a predicare Gesù Cristo a gente che non lo conosce o che porta una vita che non sembra molto morale, pensare che io sono più peccatore di lui, perché se io non sono caduto in quella situazione è per la grazia di Dio. Ma questa è condizione indispensabile: noi non possiamo andare in [nelle] periferie senza questa coscienza. Paolo: Paolo aveva questa coscienza. Lui dice di se stesso che è il più grande peccatore; anche, lui dice una parola bruttissima di se stesso: “Io sono un aborto”! Ma questo è nella Bibbia, è la Parola di Dio, eh?, ispirata dallo Spirito Santo! Non è fare faccia di immaginetta come dicono che i Santi … ma i Santi si sentivano peccatori perché avevano capito questo! E la grazia del Signore ci sostiene; se tu – se io, se tu, se ognuno di voi non ha questo non potrà prendere il mandato di Gesù, la missione di Gesù: “Andate fino alla fine del mondo, a tutte le Nazioni, nelle periferie …”. E chi sono quelli che sono stati incapaci di ricevere questo? I chiusi, i dottori, quei dottori della legge, quella gente chiusa che non ha accettato Gesù, non ha accettato il suo messaggio di uscire. Sembravano giusti, sembravano gente di Chiesa, ma Gesù dice loro una parola non tanto bella, eh?: “Ipocriti”. Così li chiama Gesù. E per farci capire come sono loro, la fotografia che Gesù fa di loro è: “Ma voi siete sepolcri imbiancati!”. Quello che è chiuso, che non può ricevere, è incapace di ricevere questo coraggio dello Spirito Santo, e rimane chiuso e non può andare in periferia. Tu chiedi al Signore di rimanere aperta alla voce dello Spirito, per andare in quella periferia; poi domani, forse, ti chiederà di andare in un’altra, tu non [lo] sai … Ma sempre c’è il Signore che ci invia. E nel carcere dire sempre questo, no? Anche con tante persone che soffrono: perché questa persona soffre, e io no? Perché questa persona non conosce Dio, non ha speranza nella vita eterna, sa che tutto finisce qua e io no? Perché questa persona viene accusata nei tribunali perché è corrotta per questo e io no? Ma, per la grazia del Signore! Questa è la più bella preparazione per andare in [nelle] periferie. Poi, tu chiedi di … dici: “Di che speranza io parlo, con questa gente in carcere?”, che tanti sono condannati a morte … Ma no, in Italia, non c’è la pena di morte, ma un ergastolano … L’ergastolo è una condanna a morte, perché si sa che di lì non si esce. E’ duro. Cosa dico a quell’uomo? Cosa dico a quella donna? Ma forse … non dire niente. Prendere la mano, accarezzarlo, piangere con lui, piangere con lei … Così, avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Avvicinarsi al cuore che soffre. Ma tante volte noi non possiamo dire niente. Niente. Perché una parola sarebbe un’offesa. Soltanto i gesti. I gesti che fanno vedere l’amore. “Tu sei un ergastolano, lì, ma io condivido con te questo pezzo di vita di ergastolo”, e quel condividere con l’amore: niente di più. Questo è seminare l’amore. E poi metti il dito nella piaga, no? “Come affinare la nostra coscienza, perché stare insieme a chi soffre non sia per noi semplice beneficienza, ma converta il nostro cuore e ci renda capaci di lottare con coraggio per un mondo più giusto?”. La beneficienza è uno scalino, eh? “Ma, tu hai fame? – Sì. – Ti do da mangiare, oggi”. Ma la beneficienza è il primo passo verso la promozione. E questo non è facile. Come promuovere i bambini affamati? Come promuovere … parliamo di bambini, adesso: come promuovere i bambini senza educazione? Come promuovere i bambini che non sanno ridere e che se tu li accarezzi ti danno uno schiaffo, perché a casa loro vedono che il papà dà schiaffi alla mamma? Come promuovere? Come promuovere la gente che ha perso il lavoro, come accompagnare e promuovere, no? Fare strada con loro? E che ha bisogno del lavoro perché senza il lavoro una persona si sente senza dignità? Si, sta bene: tu gli porti da mangiare. Ma la dignità è che lui, lei, portino da mangiare a casa: questo dà dignità. E’ la promozione: il presidente ne ha parlato (il Papa si riferisce all’indirizzo rivoltogli dal Presidente delle CVX poco prima): tante cose che voi fate … Una cosa che fa la differenza tra la beneficienza abituale – non dico la beneficienza per uscire dalle difficoltà più gravi – che fa la differenza tra la beneficienza abituale e la promozione, è che la beneficienza abituale ti tranquillizza l’anima: “Io oggi ho dato da mangiare, adesso vado tranquillo a dormire”. La promozione ti inquieta l’anima: “Ma, devo fare di più: e domani quello e dopodomani quello, e cosa faccio …” … Quella sana inquietudine dello Spirito Santo. E questo è quello che mi viene di dirti, no? Che questo non sia per noi semplice beneficienza, ma converta il nostro cuore. E questa inquietudine che ti dà lo Spirito Santo per trovare strade per aiutare, promuovere i fratelli e le sorelle, questo ti unisce a Gesù Cristo: questo è penitenza, questo è croce, ma questo è gioia. Una gioia grande, grande, grande che ti dà lo Spirito quando dai quello. Non so se ti aiuta, quello che ti ho detto … Perché, quando mi fanno queste domande, il pericolo – anche il pericolo del [per il] Papa, eh? – è credere che possa rispondere a tutte le domande … E l’unico che può rispondere a tutte le domande, è il Signore. Il mio lavoro è semplicemente ascoltare e dire quello che mi viene da dentro. Ma molto insufficiente e molto poco. Tiziana: Santo Padre, sono Tiziana e vengo da Cagliari. Mi sento emozionata e felice: stare davanti a Lei è realizzare un sogno che ho avuto fin da bambina. Faccio parte della Comunità di vita cristiana e della Lega missionaria studenti, attraverso cui ho avuto il privilegio di vivere meravigliose esperienze di comunione e servizio. Però, oggi, parlando con il cuore in mano Le confido che la speranza a volte la perdo. A volte la mia fragilità è la stessa di tanti giovani. Aiuti me e tutti noi a capire che Dio non ci abbandona mai, che noi giovani possiamo ancora sognare in mezzo a chi vuole toglierci questo dono. Papa Francesco: Ma, ai giovani [mi] piace dire: “Non lasciatevi rubare la speranza”. Ma la tua domanda va oltre: “Ma di che speranza mi parla, Padre?”. Alcuni possono pensare che la speranza sia avere una vita comoda, una vita tranquilla, raggiungere qualcosa … E’ una speranza controllata, una speranza che può andare bene in laboratorio, eh?, ma se tu stai nella vita e lavori nella vita, con tanti problemi, con tanto scetticismo che ti offre la vita, con tanti fallimenti, “di che speranza mi parla, Padre?”. Ma, sì, io posso dirti: “Ma, tutti andremo in Cielo …”: sì, è vero. Il Signore è buono. Ma io voglio un mondo migliore, e io sono fragile, e io non vedo come questo si possa fare, io voglio immischiarmi – per esempio – nel lavoro della politica, o della medicina … Ma, alcune volte trovo corruzione, lì, e lavori che sono per servire diventano affari … Io voglio immischiarmi nella Chiesa, e anche lì il diavolo semina corruzione e tante volte c’è … Io ricordo quella Via Crucis di Papa Benedetto XVI, quando ci invitava a cacciare via le sporcizie della Chiesa … Anche nella Chiesa [c’]è corruzione! Sempre c’è qualcosa che delude la speranza e così non si può … Ma la speranza vera è un dono di Dio, è un regalo, e quella non delude mai. Ma come si fa, come si fa per capire che Dio non ci abbandona, che Dio è con noi, che è in cammino con noi? Oggi, all’inizio della Messa, c’era un versetto di un salmo molto bello, molto bello: “Quando Tu, Signore, camminavi in mezzo al tuo popolo, quando Tu lottavi con noi, la Terra tremava e i Cieli stillavano”. Sì. Ma non sempre si vede, questo. Soltanto, una cosa della quale io sono sicuro – [di] questo sono sicuro, ma non sempre lo sento, ma sono sicuro – Dio cammina con il suo popolo. Dio mai abbandona il suo popolo. Lui è il pastore del suo popolo. Ma quando io faccio un peccato, quando io faccio uno sbaglio, quando io faccio una cosa ingiusta, quando io vedo tante cose, io domando: “Ma Signore, dove sei? Dove stai?”. Oggi, tanti innocenti che muoiono: dove stai, Signore? Ma è possibile fare qualcosa? La speranza è una delle virtù più difficili da capire, e alcuni grandi – penso che sia stato Peguy, uno di quelli che dicevano che è la più umile delle virtù, la speranza, perché è la virtù degli umili. Ma bisogna abbassarsi tanto perché il Signore ce la doni, perché il Signore ce la dia. E’ lui che ci sostiene. Ma dimmi: che speranza può avere, dal punto di vista naturale, pensiamo a un ospedale: una suora che da 40 anni è nel reparto di malattie terminali, e ogni giorno uno, l’altro, l’altro, l’altro … Ma, sì, credo in Dio, ma l’amore che dà quella donna sempre finisce, finisce, finisce … e a un certo punto quella donna può dire a Dio: “Ma questo è il mondo che Tu hai fatto? Si può sperare qualcosa da Te?”. La tentazione, quando noi siamo nelle difficoltà, quando noi vediamo le brutalità che succedono nel mondo, la speranza sembra cadere. Ma nel cuore umile rimane. E’ difficile capire questo perché la tua domanda è molto profonda, no? Come non lasciare la lotta e fare la dolce vita e così, senza speranza … è più facile … Il servizio è lavoro di umili: oggi l’abbiamo sentito nel Vangelo. Gesù è venuto per servire, non per essere servito. E la speranza è virtù degli umili. Credo che quella può essere la strada. Ma ti dico con sincerità, non mi viene di dirti un’altra cosa. Umiltà e servizio: queste due cose custodiscono la piccola speranza, la virtù più umile, ma quella che ti dà la vita. Adesso? Grazie … Non so. E’ quello che mi viene di dirti. Grazie. Bartolo: Carissimo Santo Padre, mi chiamo Bartolo e sono sacerdote diocesano da nove anni. Attualmente la missione affidatami è quella di formatore di seminaristi e docente presso il Seminario campano interregionale di Napoli, retto dai Padri Gesuiti; luogo in cui tante volte si danno molte cose per scontate: la formazione in genere … Da circa dieci anni collaboro con padre Massimo Nevola nell’animazione dei campi missionari, in particolare a Cuba, proposti a giovani adulti della Lega missionaria studenti. Attraverso queste esperienze ho toccato con mano le ferite del Signore nella povertà degli uomini del nostro tempo, che mi hanno messo in crisi e mi hanno spinto a cercare di più il Suo volto. E questo ha rafforzato molto la mia vocazione presbiterale, che sento sempre più come un dono per tutta l’umanità e la Chiesa. Le volevo chiedere, vista anche la presenza di tante parrocchie: che apporto specifico può offrire un movimento di ispirazione ignaziana, quale la Cvx, per la formazione cristiana di operatori pastorali, e la Lega missionaria studenti per il coinvolgimento e l’educazione alla mondialità di giovani? Grazie. Papa Francesco: Il presidente ha fatto memoria di un motto ignaziano, no?, “contemplativo nell’azione”, e essere contemplativo nell’azione non è camminare nella vita guardando il cielo, perché cadrai in un buco [ride], sicuro … E questo è capire cosa significa questa contemplazione, no? Tu hai detto una cosa, una parola che mi ha colpito: ho toccato con mano le ferite del Signore nelle povertà degli uomini del nostro tempo. E questa credo che sia una delle migliori medicine per una malattia che ci colpisce tanto, che è l’indifferenza. Anche lo scetticismo: credere che non si possa fare niente. Il patrono degli indifferenti e degli scettici è Tommaso: e Tommaso ha dovuto toccare le ferite. C’è un bellissimo discorso, una bellissima meditazione di San Bernardo sulle piaghe del Signore. Tu sei prete, puoi trovarla nella terza settimana di Quaresima, nelle letture, nelle seconde letture della terza settimana; non ricordo in che giorno. Entrare nelle ferite del Signore: noi serviamo un Signore piagato d’amore; le mani del nostro Dio sono mani piagate di amore. E essere capaci di entrare lì … e anche, Bernardo continua: “E sii fiducioso: entra nella ferita del suo fianco e contemplerai l’amore di quel cuore”. Le ferite dell’umanità, se tu ti avvicini lì, se tu tocchi – e questa è dottrina cattolica – tocchi il Signore ferito: questo lo troverai in Matteo 25, non sono eretico, dicendo questo, eh? Quando tu tocchi le ferite del Signore, tu capisci un po’ di più il mistero di Cristo, di Dio incarnato. Questo è proprio il messaggio di Ignazio, nella spiritualità: una spiritualità dove al centro è Gesù Cristo, non le istituzioni, non le persone, no. Gesù Cristo. Ma Cristo incarnato! E quando tu fai gli Esercizi [spirituali], ma Lui ti dice che vedendo il Signore che soffre, le ferite del Signore, ma fa forza per piangere, per sentire dolore! E la spiritualità ignaziana dà al vostro Movimento questa strada, offre questa strada: entrare nel cuore di Dio attraverso le ferite di Gesù Cristo. Cristo ferito negli affamati, negli ignoranti, negli scartati, negli anziani soli, negli ammalati, nei carcerati, nei pazzi … è lì. E quale potrebbe essere lo sbaglio più grande per uno di voi? Parlare di Dio, trovare Dio, incontrare Dio ma un Dio, un “Dio-spray”, un Dio diffuso, un Dio all’aria … Ignazio, Ignazio voleva che tu incontrassi Gesù Cristo, il Signore, che ti ama e ha dato la sua vita per te, ferito per il tuo peccato, per il mio peccato, per tutti … E le ferite del Signore sono dappertutto. In questo che tu hai detto è proprio la chiave, no? Noi possiamo parlare tanto di teologia, tanto … cose buone, eh?, parlare di Dio … ma la strada è che sei capace di contemplare Gesù Cristo, leggere il Vangelo, cosa ha fatto Gesù Cristo: è Lui, il Signore! E innamorarti di Gesù Cristo e dire a Gesù Cristo che ti scelga per seguirlo, per essere come Lui. E questo si fa con la preghiera e anche toccando le ferite del Signore. Mai conoscerai, tu, Gesù Cristo se non tocchi le sue piaghe, le sue ferite. Lui è stato ferito per noi. E questa è la strada, è la strada che ci offre la spiritualità ignaziana a tutti noi: il cammino … Ma anche io vado un po’ di più: tu sei formatore di futuri sacerdoti, eh? Ma per favore: … se tu vedi che un ragazzo intelligente, bravo ma che non ha questa esperienza di toccare il Signore, di abbracciare il Signore, di amare il Signore ferito, consigliagli di andarsene a prendere belle vacanze di uno, due anni … e gli farai [del] bene. “Ma, Padre, noi siamo pochi sacerdoti: ne abbiamo bisogno …”. Per favore, che l’illusione della quantità non ci inganni e ci faccia perdere di vista la qualità! Abbiamo bisogno di sacerdoti che preghino. Ma che preghino Gesù Cristo, ma che sfidino Gesù Cristo per il loro popolo, come Mosé che aveva la faccia tosta per sfidare Dio e salvare il popolo che Dio voleva distruggere, con quel coraggio davanti a Dio: anche sacerdoti che abbiano il coraggio di soffrire, di portare la solitudine e dare tanto amore. Anche per loro vale quel discorso di Bernardo sulle piaghe del Signore, eh? Capito? Grazie. Gianni: Santo Padre, io sono Gianni, vengono dalla Cvx dell’Aquila. Siamo impegnati da oltre 30 anni nel volontariato, nell’associazionismo e nella politica. Allora, nel nostro impegno nella vita sociale vorremmo che ognuno – specialmente chi è più giovane tra noi – comprenda che oltre al bene privato, troppo spesso prevalente, esiste un interesse generale che appartiene alla comunità intera. Santo Padre, quale discernimento può venirci dalla spiritualità ignaziana per aiutarci a mantenere vivo il rapporto tra la fede in Gesù Cristo e la responsabilità ad agire sempre per la costruzione di una società più giusta e solidale? Grazie. Papa Francesco: Credo che questa domanda che tu hai fatto la risponderebbe molto meglio di me padre Bartolomeo Sorge – non so se è qui: no, non l’ho visto … Lui è stato uno bravo, eh? Lui è un gesuita che ha aperto la strada in questo campo della politica. Ma, si sente: “Noi dobbiamo fondare un partito cattolico!”: quella non è la strada. La Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico. “No, non diciamo partito, ma … un partito solo dei cattolici”: non serve e non avrà capacità convocatorie, perché farà quello per cui non è stato chiamato. “Ma, un cattolico può fare politica?” – “Deve!” – “Ma un cattolico può immischiarsi in politica?” – “Deve!”. Il Beato Paolo VI, se non sbaglio, ha detto che la politica è una delle forme più alte della carità, perché cerca il bene comune. “Ma, Padre, fare politica non è facile, perché in questo mondo corrotto … e alla fine tu non puoi andare avanti …”: cosa vuoi dirmi, che fare politica è un po’ martiriale? Sì. Eh sì: è una sorta di martirio. Ma è un martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarti corrompere. Cercare il bene comune pensando le strade più utili per quello, i mezzi più utili. Cercare il bene comune lavorando nelle piccole cose, piccoline, da poco … ma si fa. Fare politica è importante: la piccola politica e la grande politica. Ma, nella Chiesa ci sono tanti cattolici che hanno fatto una politica non sporca, buona; anche, che hanno aiutato alla pace nei Paesi. Ma pensate ai cattolici qui, in Italia, del dopoguerra – alcuni: pensate a De Gasperi; pensate alla Francia: Schumann, che ha la causa di beatificazione … Si può diventare santo facendo politica. E non voglio nominare più: valgono due esempi, di quelli che vogliono andare avanti nel bene comune. Fare politica è martiriale: davvero un lavoro martiriale, perché bisogna andare tutto il giorno con quell’ideale, tutti i giorni, con quell’ideale di costruire il bene comune. E anche portare la croce di tanti fallimenti, e anche portare la croce di tanti peccati. Perché, nel mondo è difficile fare il bene in mezzo alla società senza sporcarsi un poco le mani o il cuore: ma per questo vai a chiedere perdono, chiedi perdono e continua a farlo. Ma che questo non ti scoraggi. “No, Padre, io non faccio politica perché non voglio peccare” – “Ma non fai il bene! Vai avanti, chiedi al Signore che ti aiuti a non peccare, ma se ti sporchi le mani, chiedi perdono e continui avanti!”. Ma fare, fare … E proprio lottare per una società più giusta e solidale. Qual è la soluzione che oggi ci offre, questo mondo globalizzato, per la politica? Semplice: al centro, il denaro. Non l’uomo e la donna: no. Il denaro. Il dio denaro. Questo al centro. Poi, tutti al servizio del dio denaro. Ma per questo, quello che non serve al dio denaro si scarta. E quello che ci offre oggi il mondo globalizzato è la cultura dello scarto: quello che non serve, si scarta. Si scartano i bambini perché non si fanno bambini o perché si uccidono i bambini prima di nascere; si scartano gli anziani, perché … ma, gli anziani non servono: ma adesso che manca il lavoro vanno a trovare i nonni perché la pensione ci aiuti, no? Ma servono congiunturalmente, no? Ma si scartano, si abbandonano gli anziani. E adesso, il lavoro si deve diminuire perché il dio denaro non può fare tutto, e si scartano i giovani: qui, in Italia, giovani dai 25 anni in giù – non voglio sbagliare, correggimi, eh? – il 40-41% è senza lavoro. Si scarta … Ma questo è il cammino della distruzione. Io cattolico guardo dal balcone? Non si può guardare dal balcone! Immischiati lì! Dà il meglio: se il Signore ti chiama a quella vocazione, va lì, fai politica: ti farà soffrire, forse ti farà peccare, ma il Signore è con te. Chiedi perdono e vai avanti. Ma non lasciamo che questa cultura dello scarto ci scarti tutti! Anche scarta il Creato, ché il Creato ogni giorno viene distrutto di più. Non dimenticare quello del Beato Paolo VI: la politica è una delle forme più alte della carità. Non so se ho risposto … Io avevo scritto un discorso … [ridono] forse noioso, come tutti i discorsi, no?, ma lo consegnerò, eh?, perché ho preferito questo dialogo … [Poi il Papa recita con tutta l’Assemblea una Preghiera alla Madonna della Strada… e infine imparte la Benedizione.] E per favore, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.Il discorso non lettoDi seguito il testo del discorso del Papa preparato e dato per letto:
Cari fratelli e sorelle, saluto tutti voi, che rappresentate la Comunità di Vita Cristiana d’Italia, e gli esponenti dei vari gruppi di spiritualità ignaziana, vicini alla vostra tradizione formativa e impegnati nell’evangelizzazione e nella promozione umana. Un saluto particolare agli alunni ed ex-alunni dell’Istituto “Massimo” di Roma, come pure alle rappresentanze di altre scuole dirette dai Gesuiti in Italia. Conosco bene la vostra Associazione per esserne stato assistente nazionale in Argentina, alla fine degli anni settanta. Le vostre radici affondano nelle Congregazioni Mariane, che risalgono alla prima generazione dei compagni di sant’Ignazio di Loyola. Si tratta di un lungo percorso nel quale l’Associazione si è distinta in tutto il mondo per l’intensa vita spirituale e lo zelo apostolico dei suoi membri, e anticipando, per certi versi, i dettami del Concilio Vaticano II circa il ruolo e il servizio dei fedeli laici nella Chiesa. Nel solco di questa prospettiva, avete scelto il tema del vostro Convegno, che ha come titolo “Oltre i muri”. Oggi vorrei offrirvi alcune linee per il vostro cammino spirituale e comunitario. La prima: l’impegno per diffondere la cultura della giustizia e della pace. Di fronte alla cultura della illegalità, della corruzione e dello scontro, voi siete chiamati a dedicarvi al bene comune, anche mediante quel servizio alle gente che si identifica nella politica. Essa, come affermava il beato Paolo VI, «è la forma più alta ed esigente della carità». Se i cristiani si disimpegnassero dall’impegno diretto nella politica, sarebbe tradire la missione dei fedeli laici, chiamati ad essere sale e luce nel mondo anche attraverso questa modalità di presenza. Come seconda priorità apostolica vi indico la pastorale familiare, nel solco degli approfondimenti dell’ultimo Sinodo dei Vescovi. Vi incoraggio ad aiutare le comunità diocesane nell’attenzione per la famiglia, cellula vitale della società, e nell’accompagnamento al matrimonio dei fidanzati. Al tempo stesso, potete collaborare all’accoglienza dei cosiddetti “lontani”: tra di essi vi sono non pochi separati, che soffrono per il fallimento del loro progetto di vita coniugale, come pure altre situazioni di disagio familiare, che possono rendere faticoso anche il cammino di fede e di vita nella Chiesa. La terza linea che vi suggerisco è la missionarietà. Ho appreso con piacere che avete avviato un cammino comune con la Lega Missionaria Studenti, che vi ha proiettato sulle strade del mondo, nell’incontro con i più poveri e con le comunità che più necessitano di operatori pastorali. Vi incoraggio a mantenere questa capacità di uscire e di andare verso le frontiere dell’umanità più bisognosa. Oggi avete invitato delegazioni di membri delle vostre comunità presenti nei Paesi dei vostri gemellaggi, specie in Siria e Libano: popoli martoriati da terribili guerre; ad essi rinnovo il mio affetto e la mia solidarietà. Queste popolazioni stanno sperimentando l’ora della croce, pertanto facciamo sentire loro l’amore, la vicinanza e il sostegno di tutta la Chiesa. Il vostro legame solidale con esse, confermi la vostra vocazione a tessere ovunque ponti di pace. Il vostro stile di fraternità, che vi sta impegnando anche in progetti di accoglienza dei migranti in Sicilia, vi renda generosi nell’educazione dei giovani, sia all’interno della vostra associazione, sia nell’ambito delle scuole. Sant’Ignazio capì che per rinnovare la società bisognava partire dai giovani e stimolò l’apertura dei collegi. E in essi nacquero le prime Congregazioni Mariane. Sulla scia luminosa e feconda di questo stile apostolico, anche voi potete essere attivi nell’animazione delle varie istituzioni educative, cattoliche e statali, presenti in Italia, così come già avviene in tante parti del mondo. Alla base di questa vostra azione pastorale ci sia sempre la gioia della testimonianza evangelica, unita alla delicatezza dell’approccio e al rispetto dell’altro. La Vergine Maria, che col suo “si” ispirò i vostri fondatori, vi conceda di rispondere senza riserve alla vocazione di essere “luce e sale” negli ambienti nei quali vivete e operate. Vi accompagni anche la mia benedizione che di cuore imparto a voi tutti e ai vostri familiari. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me.