Si incontrarono per la prima volta 51 anni fa. E ne rimase folgorato: «Io ero uno studente di filosofia, lui era fresco sacerdote. Non avevo mai sentito nessuno "maneggiare" la Bibbia come lui». Era il 1961, allora la Bibbia era in gran parte una sorta di "oggetto sconosciuto". «Ne fui entusiasta. Ed era appena l’inizio...».Da allora, padre Silvano Fausti e padre Carlo Maria Martini si incontrarono tantissime volte. Padre Silvano – filosofo e teologo, anche se tutti vi diranno che è un biblista – avrebbe un giorno fondato, con altri confratelli gesuiti e alcune famiglie, la Comunità di Villapizzone, alle porte di Milano. Padre Carlo Maria sarebbe diventato arcivescovo di Milano. L’ultimo incontro venerdì: l’amico di una vita padre Silvano era lì, al capezzale di padre Carlo Maria. Uno dei pochi a vederlo volare in cielo.
Lei è stato prima discepolo e poi anche amico di Martini. L’entusiasmo della prima ora è rimasto sempre tale?Sì. Teologo e biblista raffinato... Ma io ricordo la persona di fede, capace di provare meraviglia del mondo. Le persone soltanto pie e devote difficilmente prendono in considerazione l’ipotesi che Dio sia presente e operi nella storia. L’uomo di fede, e Martini lo era, ha l’occhio di chi sa vedere l’azione di Dio nel mondo.
Occorrono occhi speciali...Occorre capacità di discernimento. Occorre abbandonare ogni tentazione di presupposto interpretativo.
Ovvero, in termini banali, ogni pregiudizio?Discernere. Con fede, con acume. Se sei legato a presupposti interpretativi, non ci riuscirai mai. Martini invece si dimostrava sempre "all’altezza del gioco". Da quando cominciammo noi a studiare, la cultura è cambiata radicalmente. Ma lui si dimostrava sempre capace di discernimento.
Provi a chiudere gli occhi e a pensare al suo amico di una vita. Come lo vede?Lo vedo a testa alta con lo sguardo aperto all’orizzonte. Sereno. E in montagna.
Era uno scalatore...Sì, eccome. Da giovane affrontava scalate anche molto impegnative. Ancora da arcivescovo, si avventurava su montagne dure, con guide esperte. Nel gruppo del Rosa, nella Bergamasca, nel Lecchese. Negli ultimi anni era capace di arrivare fino in cima al Generoso, in Svizzera.
Lei dunque lo vede con lo sguardo fisso all’orizzonte: un orizzonte reale ma anche metaforico?Lo sguardo della sua fede, e del suo intelletto, era sempre un poco "oltre". Era uno sguardo aperto. Un esempio? Può accadere di gettare lo sguardo su chi appare come un mendicante, per scoprire che in realtà è un principe... Chi era guardato da Martini si sentiva "figlio di Dio", fosse stato anche un delinquente: perché come guardi le persone, così le fai diventare. Martini non era uomo da schemi né da giudizi né da etichette. Era aperto all’ascolto, per intuire la presenza di Dio ovunque e in chiunque. E questo era pure il segreto degli incontri con chi era lontano dalla fede.
Anche con chi apparteneva a una fede diversa?C’è un piccolo "segreto" che non so se sia garbato rivelare...
Se è un bel "segreto", che fa del bene e non del male, perché no?La notte di giovedì scorso c’era una persona, all’esterno dell’istituto dove padre Carlo Maria si stava spegnendo. La notte intera. Ferma sotto un lampione, rivolta verso la finestra. Recitava i salmi. Era stata mandata dal rabbino Laras. Non aveva suonato o bussato. Con discrezione, era rimasta fuori, in preghiera per l’amico morente.
Di Martini è stato detto tutto, forse. C’è qualcosa che non è stato ricordato abbastanza?La sua umiltà. Davanti a chiunque. Ascoltava tutti e si interessava di tutti. Era il maestro che si rende costantemente discepolo.
Qual è, per lei, l’eredità spirituale di Martini?La speranza, al di là e al di sopra di ogni possibile apparenza.