Sarà un Sinodo dei vescovi sulla famiglia in cui «la franchezza ma anche la sapienza non mancheranno nel dibattito». E dove «i temi saranno molti, a cominciare da quelli che non stanno trovando spazio in queste settimane sui media ma che risultano ineludibili». L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, guarda all’assemblea generale straordinaria voluta da papa Francesco con l’impegno di chi si sente coinvolto in prima persona. Alle
sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione è dedicato l’appuntamento che si terrà in Vaticano dal 5 al 19 ottobre e che sta avendo già un’ampia eco.
Eccellenza, ci sono grandi aspettative sul Sinodo. Perché?La famiglia è in cima ai pensieri e ai desideri di tutti e continua a essere considerata un porto sicuro. Nello stesso tempo – come in una situazione paradossale – vediamo moltiplicarsi le crisi, le separazioni, le ricomposizioni fino alla evaporazione della stessa idea di famiglia. Si dice: basta l’amore e qualsiasi forma può chiamarsi famiglia. È comprensibile che le aspettative siano numerose, anche se talora molto confuse. È vero che nel fondo c’è un diffuso «desiderio di famiglia». Ma bisogna evitare semplificazioni e superficialità. Anche perché stiamo sempre più precipitando in una società individualista dove l’io prevale sul noi, dove gli interessi di parte sono ben più considerati che quelli della comunità. Se dovessi leggere in profondità l’aspettativa direi che c’è un bisogno di «famiglia» incredibile.
Come si svolgeranno i lavori del Sinodo? Se guardiamo alla stampa o ad alcune pubblicazioni, come il libro di prossima uscita «Permanere nella verità di Cristo» firmato da cinque cardinali e quattro studiosi, sembra che su alcune questioni ci siano posizioni e sensibilità diverse. È ovvio che quanto appare sulla stampa o viene scritto sia da prendere in considerazione. Il questionario stesso inviato dalla Segreteria del Sinodo voleva aiutare una riflessione ampia. Ma serve fare attenzione a non scambiare la notorietà di una questione con quel che è davvero necessario. Credo che il bisogno più radicale che dovremmo affrontare è il recupero della bellezza della famiglia, è la sottolineatura di quel plesso originario composto da matrimonio-famiglia-vita che in questo tempo, per la prima volta nella storia, viene come destrutturato e che ciascuno – come in un delirio di onnipotenza – ricostruisce a suo piacimento. È il nodo culturale, antropologico e teologico che, a mio avviso, deve occupare la scena.
Il matrimonio è il punto focale.Non è senza rilevanza il fatto che sempre più donne e uomini tendano a rifiutare vincoli saldi. In un orizzonte individualista è più a portata di mano la convivenza rispetto al matrimonio. Ed è più semplice stare da soli che legarsi per sempre al coniuge in un progetto di vita. È il tema centrale. Seguono poi altre questioni che non occupano la ribalta mediatica ma che sono davvero cruciali. Penso alla povertà e al lavoro in relazione al matrimonio e alla famiglia; penso alla grande sfida educativa e al rapporto intergenerazionale che vediamo deteriorarsi; penso alla questione relativa agli anziani: abbiamo prolungato la vita e quindi, grazie a Dio, anche il numero degli anziani ma non c’è pensiero, né politica, né spiritualità, e si rafforza una cultura dello scarto; penso alla indispensabile ricomprensione di cos’è l’amore sganciandolo da un vacuo romanticismo per coglierne la forza edificatrice. Poi c’è anche il tema dei separati, dei divorziati e dei risposati.
Perché questa enfasi soprattutto legata al loro accesso ai sacramenti?È ovvio che è una questione che ci sta a cuore. Già da tempo nella Chiesa c’è un nuovo atteggiamento nei loro confronti. Basti pensare alla differenza di giudizio tra il Codice di diritto canonico del 1917 che parlava di pubblici peccatori e quello attuale. Sia San Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI hanno esortato all’accoglienza e alla cura pastorale. Personalmente sono convinto che c’è ancora bisogno di una maggiore vicinanza a queste situazioni. Non stiamo parlando di una categoria, ma di donne e di uomini, di bambini e di grandi, che vivono situazioni difficili. È indispensabile anzitutto una vicinanza quotidiana, affettuosa, partecipe. Hanno urgenza di amore ben prima che di norme. Faccio fatica a pensare che ci si possa affidare a disposizioni per dare una risposta a problemi umani bisognosi di un rapporto solidale che comporta anche sacrificio, audacia e perseveranza.
Quale stile adottare?Direi che occorre avvicinarsi a coloro che vivono situazioni familiari difficili pensando al buon Samaritano. Lui non si è limitato a osservare e magari a invocare una nuova legislazione. Si è fermato. È sceso da cavallo e ha subito curato le ferite, senza interrogarsi né chi fosse e né perché si trovasse in quello stato. Ha portato l’uomo nell’albergo, ossia all’interno di una comunità perché tutti se ne facessero carico.
Nell’«Instrumentum laboris» si fa riferimento alla misericordia per quanto attiene alle questioni riguardanti il matrimonio e la famiglia.Reputo che serva liberare il dibattito dai lacci ideologici. E non bisogna dimenticare che il Sinodo è anzitutto un evento ecclesiale: il confronto all’interno è sempre virtuoso perché fatto in un clima di preghiera e, anche se aspro, è guidato verso l’unità. Gesù ha garantito la sua presenza «dove sono due a tre riuniti nel mio nome». Insomma, c’è una grazia particolare quando si è insieme a dibattere. Non credo che ci saranno stravolgimenti dottrinali nel Sinodo. Il Papa chiede che i padri sinodali, nei casi delle famiglie ferite, indichino la via del Samaritano, che si trovino il vino e l’olio, che si accolgano nella locanda. La misericordia non si sgancia mai dalla verità. E sono convinto che questo evento spirituale non rinnegherà il passato ma neanche rinuncerà ad affrontare le sfide di questo tempo.