giovedì 11 febbraio 2016
Monsignor Gnavi: a Cuba non un tavolo di negoziati. L’incariato per l’ecumenismo della diocesi di Roma: in un mondo segnato da violenza, conflitti e terrorismo il colloquio aprirà una nuova stagione.
«Tra Francesco e Kirill un incontro di cuori»
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Non un tavolo di negoziati. Ma «un incontro di cuori», aperto «dinamicamente verso il futuro». Monsignor Marco Gnavi, parroco di Santa Maria in Trastevere e incaricato dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo del Vicariato di Roma, oltre che esperto del mondo ortodosso, guarda così al primo storico abbraccio tra un Papa e un patriarca della Chiesa ortodossa russa. «Domani – afferma – si aprirà una stagione nuova. E non bisogna per forza aspettarsi risultati su singoli problemi, perché la cosa più importante è proprio l’incontro in se stesso». Perché proprio adesso? Non sono personalmente in grado di ricostruire ciò che ha di fatto portato all’incontro, ma è noto che Kirill ha sempre guardato alla Chiesa cattolica come a un riferimento importante e Francesco già due anni fa aveva detto di essere disponibile a incontrare il patriarca. Adesso la lunga attesa è finita. Quali sono gli aspetti della personalità di papa Francesco più apprezzati dal mondo ortodosso russo. La sincerità del suo atteggiamento e la proiezione universale dello sguardo del vescovo di Roma, perché il patriarcato di Mosca ha oggi uno sguardo più largo. C’è anche da parte della Chiesa ortodossa russa la consapevolezza che ci troviamo in una congiuntura difficile per il mondo contemporaneo, stretto tra violenza, conflitti e terrorismo, e che l’umanesimo cristiano può contribuire a dare speranza. Questo incontro storico va visto dunque in tale prospettiva. A Cuba Francesco e Kirill daranno un segno di grande fiducia a tutta l’ecumene cristiana. E non solo. L’incontro precede il Concilio panortodosso di Creta. C’è una relazione tra i due eventi? Non una relazione diretta, ma di certo sono eventi che si illuminano a vicenda. Oggi c’è un clima di distensione tra i capi delle diverse Chiese e l’incontro di domani è senz’altro un enorme passo avanti. In un mondo di spinte centrifughe tutto ciò che unisce o riavvicina porta con sé anche frutti di pace tra i popoli e di collaborazione attiva per il bene comune dell’umanità. È possibile fare previsioni sui contenuti che verranno affrontati nelle due ore di colloquio? Mi immagino innanzitutto un incontro di cuori, il ritrovarsi di due fratelli, un dialogo della carità che accompagni il dialogo della verità. Per il resto i temi sono tanti: la visione dell’Europa e del mondo, le difficoltà dei cristiani in Medio Oriente, le minoranze cristiane di tutte le confessioni vessate dalla violenza. Credo soprattutto che il tema dei cristiani in Medio Oriente stia molto a cuore a entrambi. Di recente, ad esempio, Kirill ha ricevuto a Mosca il patriarca copto Tawadros II, quello dei siro ortodossi, Mar Ignazio Efrem II, e Theodoros II di Alessandria, tutti capi di Chiese cristiane in minoranza. Anche per Mosca dunque il sostegno ai cristiani è importante. Si parlerà anche dell’Ucraina? Penso di sì, perché ci sono ferite profonde che toccano tutte le Chiese, le quali invece hanno in sé un portato di riconciliazione e di unità quanto mai utile. Così come credo che parleranno anche del futuro del nostro continente. E sono fiducioso che data la profondità e la grandezza d’animo di entrambi da questo incontro potranno sgorgare nuove iniziative di pace e di riconciliazione. Tra i problemi che hanno impedito a lungo l’incontro c’erano la questione del cosiddetto «uniatismo» e le accuse di proselitismo ai cattolici. In che misura tali temi troveranno spazio, a suo avviso? Non credo che sarà un tavolo di negoziato sui problemi difficili e che dal colloquio si debbano attendere soluzioni su vicende dolorose. Sarà piuttosto un incontro dinamico aperto al futuro. Ciò che conta davvero è che si capiscano, che si abbraccino parlando con franchezza, dal cuore. Del resto anche le ultime dichiarazioni del metropolita Hilarion trasmettono questa sensazione. Poi, quando si incontrano i primati delle Chiese, c’è un contagio positivo per i metropo-liti, per i vescovi, per tutto il popolo cristiano. Oggi tante comunità ortodosse russe vivono nella diaspora accanto ai cattolici e dunque in un mondo plurale come il nostro i segnali che vengono da simili incontri possono tracimare oltre i confini confessionali e dare speranza a tutti. E in Russia come sono attualmente i rapporti tra le due comunità? I cristiani non sono antagonisti e la fraternità ritrovata è un primo frutto. Si cammina nell’unità della testimonianza già oggi. Quali prospettive è lecito attendersi, dunque?Siamo all’alba di una stagione nuova in cui, più che risposte contingenti alle singole questioni, dobbiamo attenderci una risposta vera e profonda. E cioè che più andremo alle radici della nostra vocazione cristiana, più troveremo una luce da offrire insieme agli uomini e alle donne divisi e disorientati del nostro tempo. Immagino che questo primo incontro sarà foriero di distensione, di ricerca comune, di incontri prossimi a tutti i livelli. Che ci sia un contagio di fraternità, di amore, di responsabilità, perché nessuno delle nostre Chiese vive per se stessa, ma per testimoniare il Vangelo. Del resto, il fatto che l’incontro si svolga a Cuba dice già di per sé la volontà di guardare a tutto il mondo e da una prospettiva nuova. Perché, dove i cristiani si abbracciano, riprende forza la speranza.
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