Ancora una volta
Jeffrey Lena si trova costretto a ribadire semplici principi di giurisdizione internazionale. Come il legale della Santa Sede ha fatto notare molte volte in passato, nessun esperto di legge internazionale li metterebbe in dubbio se il caso non coinvolgesse la Santa Sede o il Papa. E se qualcuno non stesse cercando di usare concetti legali per fare notizia o per esprimere opinioni puramente personali. "L’avvocato del Papa", come lo definiscono sbrigativamente i media statunitensi, rappresenta la Santa Sede dal 2000, ed ha seguito passo per passo, sia in tribunale che al di fuori, l’evolversi dello scandalo degli abusi sessuali da parte di preti ai danni di minori negli Stati Uniti. Negli ultimi anni Lena si è trovato a rispondere ad accuse mosse personalmente nei confronti del Papa, che asseriscono una inesistente responsabilità penale del Pontefice nei casi di abuso. Tutti questi casi, fa notare, sono stati ritirati o sono stati respinti alla prima udienza di fronte a un giudice. Come quando, tre anni fa, Jeffrey Anderson, avvocato di un gruppo di vittime, accusò il Papa di crimini contro l’umanità di fronte alla Corte penale internazionale dell’Aja. Le conclusioni emesse dal Comitato delle Nazioni Unite per i diritti del fanciullo con sede a Ginevra, a detta di Lena, rientrano nella stessa categoria: quella della voluta confusione di principi di giurisdizione legale per scopi politici. Raggiunto telefonicamente in Europa, Lena fa notare di non essere autorizzato ad entrare nel merito delle conclusioni raggiunte del Comitato. Ma non esita a far notare un problema di giurisdizione.
Avvocato Lena, siamo di fronte a un problema di errata interpretazione del mandato di un ramo delle Nazioni Unite?Il Comitato sui diritti del bambino non aveva nessun diritto di pronunciarsi sulla questione degli abusi sessuali da parte di membri del clero cattolico. Invece il Comitato ha commesso un errore grave, che va a toccare direttamente i principi fondamentali del diritto internazionale. Quello che ha fatto è sostituire la giurisdizione canonica a quella che avrebbe dovuto invece applicare, cioè la giurisdizione territoriale. Il Trattato sui diritti del bambino, che il comitato è chiamato a far rispettare dagli Stati firmatati, è infatti strettamente territoriale.
Che principio sostengono dunque i membri del Comitato?I membri del Comitato hanno cercato di sostenere che la convenzione sui diritti del bambino rende la Santa Sede responsabile per tutti gli ordini cattolici, le istituzioni cattoliche e le persone ordinate alla vita religiosa cattolica perché è canonicamente il "superiore" delle diocesi cattoliche nel mondo. Facendo così, il comitato, invece di concentrasi sulle questioni rilevanti nella sfera del proprio mandato si è permesso di parlare liberalmente esprimendo mere opinioni invece di tenersi al dovere e mantenersi nell’ambito che gli compete, cioè la corretta l’applicazione del trattato sotto esame.
Si tratta di una svista o di una mossa intenzionale, a suo parere?Questa, a mio avviso, è stata una mossa fatta consapevolmente, per arrivare a precisi scopi politici.
Quali?Effettivamente, invece di valutare in modo oggettivo al questione sotto il profilo giuridico, i membri del Comitato sono stati influenzati dalle loro opinioni personali, una tendenza purtroppo comune e che gli Stati membri della Nazioni Unite dovrebbero controllare maggiormente in futuro.