Di Assisi continua a dire che «è la più bella arca di pace che ci sia». Ma 25 anni dopo quell’evento che passò – e così a fondo – per le sue mani, il cardinale Roger Etchegaray tiene a dire anche qualcosa di sé, naturalmente a modo suo: «Non mi sento un combattente un po’ in disarmo di quel primo Assisi. Esiste sempre qualche buona battaglia da combattere, e quella che Papa Benedetto ci indica, con il ritorno nella città del Poverello, non è solo importante ma aiuta a guardare avanti, ai tempi forti che sono già in atto, e che ancor più si profilano per la Chiesa e il mondo. Penso ai 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, al Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione».Forse bisognerà parlare anche di uno "spirito Etchegaray" visto che, quanto più gli anni avanzano, tanto più sembra dilatarsi lo sguardo al futuro del cardinale delle "missioni impossibili", riconosciuto tessitore di pace "armato" della forza dei mezzi poveri: la capacità di dialogo, il rispetto per l’altro, la chiarezza delle proprie ragioni. Sulle lunghe fasi della preparazione – oltre dieci mesi di incontri, contatti, passi avanti e battute d’arresto – la preoccupazione è di spostare il tiro da un protagonismo personale: «Di allora mi viene in mente soprattutto l’inusuale consuetudine di rapporti con il Santo Padre: per me è stata un’esperienza di personale evangelizzazione. E Assisi fu tutta sua, un’intuizione alla Wojtyla, testa e cuore: la pace come orizzonte ma anche fatica comune delle religioni. Aveva già tutto in mente, a partire dalle obiezioni, che gli si manifestarono subito, alla lettura della proposta – che pure prese in una certa considerazione – di un "Concilio mondiale della pace" avanzata dal fisico tedesco Carl Friedrich von Weizsaecker, fratello dell’allora presidente tedesco. Le accuse di sincretismo non tardarono a manifestarsi, e bisogna dire che Giovanni Paolo II fece di tutto per sgombrare il terreno da equivoci. Ma è vero che si manifestarono anche perplessità di una certa parte del mondo cattolico, che si trovò di fronte a un cambio di passo che non si aspettava».
È per questo allora che nel venticinquennale si parla di una "nuova Assisi" riveduta e corretta? «Non direi. Nella sostanza non esiste niente di mutato. Un accento diverso si può trovare nel valore che Papa Benedetto assegna al dialogo intra-ecclesiale, che riguarda le singole religioni in rapporto a se stesse. Mi sembra un punto fondamentale nella visione del Santo Padre. Ciò spiega il momento della preghiera riservata a ciascuna delegazione, e la particolare importanza attribuita al pellegrinaggio, una strada comune lungo la quale il Papa chiede anche l’apporto degli atei, di coloro che sono in ricerca e che, non di rado, avvertono più di tutti la vicinanza di Dio. Ecco un tratto, già largamente presente in tutto il pontificato, che identifica come "tutto di Benedetto" questo ritorno ad Assisi. L’incontro di 25 anni fa, in ogni sua fase, pose in evidenza le differenze e le convergenze tra l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, e contribuì a far compiere un salto in avanti senza precedenti verso le religioni non cristiane, considerate fino ad allora come di un altro pianeta, nonostante Paolo VI con la Ecclesiam suam e il Concilio con la Nostra aetate». Si può trarre ancora qualcosa di nuovo da Assisi 1986?«Nessun grande evento finisce una volta per sempre. Non possiamo mettere il punto alla storia, e tantomeno a una storia come quella di Assisi che, peraltro, si è sviluppata per capitoli successivi con la convocazione della Giornata di preghiera per l’Europa nel gennaio del 1993 durante il conflitto nei Balcani, e il ritorno nel 2002. Quando la pace cerca un approdo la bussola è sempre orientata in direzione del monte Subasio. Assisi non è solo l’altro nome della pace, la sua novità è sempre in atto».Da quei giorni del 1986 la traduzione ricorrente è quella dello "spirito di Assisi", che per qualcuno equivale a una formula di successo, o poco più...«Si è cominciato da allora a parlare e a prendere coscienza in maniera sempre più consapevole della "famiglia umana" e delle responsabilità che a essa spettano, prima fra tutte la pace. Si potrebbe parlare anche in questo caso di una semplice formula. Ma il problema è la sostanza. E se si ritorna ad Assisi, a distanza di 25 anni non è certo per fare semplice memoria di un evento passato. Non è questo il tempo per rivisitazioni più o meno celebrative. Anzi, credo sia giusto dare merito a chi nel corso di questo non breve arco di tempo ha fatto in modo che lo "spirito di Assisi" continuasse a soffiare in ogni parte del mondo. Penso, in particolare, alle Giornate della Pace della Comunità di Sant’Egidio, l’ultima delle quali svolta in coincidenza con l’anniversario di Assisi a Monaco, nella città dell’episcopato di Papa Benedetto»,Qual è allora il senso di questo nuovo incontro a distanza di un quarto di secolo?«Ecco, l’ha detto: un quarto di secolo. Contare gli anni toglie spessore e, in un certo senso, mette in ombra il dato fondamentale: più che Assisi, è cambiato il mondo. E anche la Chiesa vive una sua stagione diversa e tutta nuova, guidata dalla sapienza di un uomo di Dio che s’è dato e ha affidato a tutti noi il compito essenziale di annunciare l’Essenziale: il Dio che salva, ma che pure lascia a noi la libertà di impastare la storia con le nostre mani. Venticinque anni fa il mondo era ancora diviso in blocchi: il muro spezzava Berlino e non solo; di globalizzazione non parlava ancora nessuno e Internet con le nuove tecnologie informatiche muoveva appena i primi passi. Anche la pace si divideva in campi ben delineati, e non ancora attraversati con l’irruenza che è venuta poi, da quelle nuove forme di sfruttamento e di ingiustizia ramificate, come erba cattiva, accanto a modelli di sviluppo avvelenati alla radice. Sono riapparsi ai nostri occhi scenari che pensavamo appartenessero solo ai fantasmi del passato: traffico di esseri umani, esodi e deportazioni; povertà declinate in tutte le peggiori forme di privazioni. Non solo pane si è arrivati a invocare, ma le più elementari forme di diritti, a cominciare dalla libertà. È spuntata così, con tutti i rischi ancora in atto, la "primavera araba". Assisi di oggi e la Chiesa che vi si reca in pellegrinaggio si trovano a confrontarsi anche con tutte le più drammatiche appendici di guerre e conflitti, che, peraltro, continuano a imperversare. E non occorre certo ricordare che il nuovo millennio si è aperto con lo sfregio delle Torri Gemelle, un attentato così barbaro da macchiare di violenza il tempo nuovo che nasceva: il secondo millennio della nascita di Cristo, che la Chiesa ha celebrato, accompagnata alla soglia e per un breve tratto oltre il varco dalla santità e dalla sapienza di un grande Papa, il beato Giovanni Paolo II. Nel grande pellegrinaggio attraverso la storia, Assisi è solo un piccolo tratto. Ma su questa strada la prima verità è che non esistono passi perduti. Il punto centrale del ritorno ad Assisi mi sembra, in sostanza, proprio questo: la ricerca della verità è di per sé una strada che porta lontano. La prima sosta utile può essere all’angolo del bene comune. È forse arrivato il tempo di piazzarvi una tenda».