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Caro direttore,
uno dei luoghi comuni che più affliggono il dibattito sul sistema pensionistico in Italia sono i privilegi di cui godrebbe chi percepisce un assegno calcolato con il sistema retributivo, agganciato cioè alla retribuzione goduta, e non ai contributi effettivamente versati, cui dovrebbero corrispondere assegni più bassi.
La vulgata sostiene che milioni di italiani, le cui pensioni sono maturate e andate in godimento con il sistema retributivo, prima dell’introduzione del sistema contributivo, godono di un trattamento di favore. Anzi di gran favore nel caso dei pensionati baby: in moltissimi casi donne andate in pensione con diciotto anni di anzianità, quando il sistema lo consentiva; favore pagato sostanzialmente sul sistema fiscale generale a danno delle giovani generazioni. Dei figli, cioè, di chi oggi gode di una pensione di favore. Ciò costituirebbe un’ingiustizia sociale, che grava sul futuro del Paese e sulle spalle di chi questo futuro rappresenta, i più giovani, traditi dall’egoismo dei loro padri e dei loro nonni.
È un argomento rozzo – per la sua astrattezza, per la decontestualizzazione delle analisi che lo supportano – e ha mancato negli ultimi anni l’obiettivo che si poneva, l’ottica cioè di una maggiore 'giustizia sociale'. Anzi il modo in cui lo si sta risolvendo, e lo si intende risolvere, non farà altro che peggiorare la situazione, proprio di quella grande parte del Paese che vivendo o avendo vissuto di reddito da lavoro dipendente, e quindi di salari e pensioni, non ha potuto godere di nessuna franchigia fiscale nella costituzione economica materiale di questo Paese; e quindi non ha potuto avvantaggiarsi di nessuna patrimonializzazione familiare generata da redditi da evasione.
L’argomento più deprimente – in un Paese dove è la famiglia e non la mitologia della flex security, spesso ormai i nonni, a risolvere i problemi di reddito e di lavoro dei figli e dei nipoti – è appunto quello del 'furto' generazionale. Un’autentica idiozia e un’immoralità discorsiva. Qualche centinaio di euro in più del 'dovuto' contributivo, che gli assegni calcolati con il retributivo fanno incassare ai pensionati italiani, sono un sostegno al reddito dei figli viventi, magari perché possano metter su famiglia e fare (ancora, viste le difficoltà economiche che demotivano la demografia) qualche figlio. Oppure servono a gestire senza pesare sui magri redditi dei propri figli gli acciacchi dell’età. Il furto sta solo nella testa dei tagliatori dei costi dello Stato sociale. Perché questo è il punto decisivo. Il 'favore' retributivo del sistema pensionistico italiano non è stato e non è fondamentalmente nient’altro che un parziale ristoro del differenziale del welfare mancato su tanti aspetti alla vita quotidiana degli italiani.
A cominciare dai servizi alle madri che lavorano. Un welfare mai davvero del tutto decollato e che oggi, per le note difficoltà di bilancio, si tende a ridurre, più che a razionalizzare. In questo quadro, la logica pensionistica contributiva – in un’economia di bassi redditi, come sono certamente quelli salariati e dichiarati – sarà un altro colpo indiretto al sistema famiglia che ha tenuto in piedi il Paese; senza che all’orizzonte si veda la flex security non in capo ai nonni o ai genitori ma in capo alla mano pubblica. E la cosa peggiore, è che – poiché non si sa come garantire gli italiani dal loro impoverimento generalizzato – si usa l’argomento del privilegio pensionistico retributivo per dare in pasto all’invidia sociale da disagio economico chi sta meglio o anche solo un po’ meglio. E così diventano 'd’oro' pensioni da quattromila euro al mese. Un modo per dire che non c’è altra possibilità che ridistribuire il reddito pensionistico che c’è, livellando il più possibile tutti verso il basso.
Abbiamo davanti il progetto sociale di una decrescita infelice. Generazione mille euro a tutte le età quando va bene, dal lavoro alla pensione: qualsiasi lavoro tu fai o abbia fatto. Mentre la ricchezza si concentra sempre di più, e dove può si nasconde e viene aiutata a nascondersi, e magari può offrire a una società di diseredati (con il loro 'consenso', panem et circenses) l’acquisto del Ronaldo di turno. E mentre si mettono alla berlina come 'privilegi' sempre e comunque i diritti acquisiti, nessuno mette veramente in discussione i furti acquisiti con la patrimonializzazione dovuta al nero della ricchezza nazionale, mentre il welfare arranca sempre di più per l’inadeguatezza di un bilancio statale gravato da un abnorme debito pubblico.
Se questo è lo scenario, l’unico ceto medio che si potrà avere in questo Paese sarà il ceto medio informale di chi non denuncia (tutti) i propri redditi; destinato invece a scomparire come ceto medio chi si sarà consegnato al lavoro salariato, nel pubblico e nel privato. Il loro star meglio, magari di non molto, oggi viene proposto come scalpo, insieme a migranti, a paure, invidie, rabbie sociali, che non si sa come governare, quando non semplicemente le si cavalca a fini politici. Una ricetta, che chi ha memoria storica, non può che temere per le sorti stesse della nostra democrazia.
Ordinario di Filosofia teoretica, Università Federico II