Caro direttore,
«Se frena il Sud, perde l’Italia» ha ammonito la Svimez nel Rapporto 2018 presentato in questi giorni, lanciando l’ennesimo allarme sul divario crescente tra Settentrione e Mezzogiorno in termini di occupazione, investimenti pubblici e privati, consumi delle famiglie, assistenza socio-sanitaria. Le “ferite” del Sud si leggono nella previsione di un Pil fermo allo 0,8%, nell’espansione delle aree di povertà, nel declino demografico (negli ultimi quindici anni il Meridione ha perso due milioni di residenti, la metà dei quali giovani laureati). Le regioni del Centro-Nord hanno recuperato interamente i livelli occupazionali pre-crisi, mentre il Sud resta ancorato a circa 300mila occupati sotto il livello del 2008. Sono dati di un’eloquenza impietosa. L’immagine che ci consegnano è quella di un Mezzogiorno che denota una condizione di irrisolta e perdurante arretratezza.
Anche la scuola non sfugge a questa realtà, come attestano i dati riguardanti la scolarizzazione, il cui tasso è sensibilmente inferiore ad altre aree del Paese per effetto di consistenti abbandoni e in ogni caso con prospettive occupazionali ridottissime per chi lascia un percorso di studi. Oggi più di 300mila giovani del Sud abbandonano la scuola, restando fuori anche dal sistema di istruzione e formazione professionale. Pesa in modo determinante anche la carenza di servizi a supporto delle famiglie e lo scarso apporto degli enti locali per quanto riguarda mense, trasporti, sussidi didattici, asili nido.
Come si può reagire a questo stato di cose? È chiaro che il Governo centrale deve fare di più. La scuola ha un ruolo secondario nella Legge di Bilancio del Governo Conte. Non è considerata una priorità. Anzi, al contrario, viene penalizzata, come dimostra la scelta di tagliare le ore di alternanza scuolalavoro che, opportunamente riformata, è invece e rimane uno strumento davvero importante per creare un collegamento tra la scuola, l’impresa e il territorio. Senza misure specifiche per favorire gli investimenti e lo sviluppo, sarà ben difficile offrire reali opportunità di lavoro a chi beneficerà nel Mezzogiorno del reddito di cittadinanza. Ma occorre anche una forte assunzione di responsabilità a livello locale. Il livello di inefficienza con cui Regioni e Comuni gestiscono nelle aree del Sud flussi di risorse pubbliche non indifferenti è semplicemente scandaloso.
Non c’è alcuna ragione o giustificazione per addossare ad altri responsabilità che toccano direttamente politica e istituzioni locali in termini di scarsa progettualità, inefficienza, ritardi davvero gravi e ingiustificati. Il rischio è quello di incentivare scelte come quella della “regionalizzazione” della scuola che accentuerebbero lo squilibrio del sistema di istruzione pubblica, che per sua natura dovrebbe svolgere una funzione di garanzia e di pari opportunità per tutti i cittadini. Se c’è una competenza che deve rimanere allo Stato e dare prospettive e diritto all’istruzione a tutti i bambini, a tutti gli studenti da Trento a Palermo, è proprio l’istruzione e la scuola. Diceva don Lorenzo Milani: «Non è giustizia fare parti uguali tra disuguali».
Bisogna fare molto di più per colmare il divario Nord-Sud in modo da far crescere tutto insieme il Paese. Per questo dobbiamo ripartire dalla formazione, investendo di più sulla scuola, dare più spazio alla contrattazione, avere più rispetto e considerazione per il lavoro difficile di tutti gli insegnanti e del personale, in una rinnovata collaborazione tra la scuola, le famiglie, gli studenti, il territorio, le istituzioni, in modo da farci raggiungere gli obiettivi di una migliore capacità educativa e formativa. Come ha detto giustamente il capo dello Stato, Mattarella, lo studio è un diritto fondamentale della persona, di ogni persona. E la scuola rimane lo strumento per unire, generare solidarietà, favorire l’inclusione sociale, combattere ogni forma di discriminazione, di odio e di rancore. Segretaria Generale Cisl