venerdì 30 novembre 2012
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La Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu che ha attribuito alla Palestina – per l’esattezza a Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, dunque alla situazione geografica antecedente la Guerra dei Sei Giorni del 1967 – la qualifica di Stato osservatore non membro, è un passaggio storico e insieme una vittoria diplomatica per il presidente dell’Anp Abu Mazen, risorto dalle ceneri di un letargo politico e di un’umiliante messa in mora tributatagli in egual misura da Israele e dai confratelli di Hamas che durava dal 2007. Il riconoscimento, per quanto simbolico, è arrivato nella notte con una larghissima maggioranza dall’Assemblea (fra cui brilla il 'sì' di Italia, Francia e Spagna – un vero e proprio 'asse latino'– dopo un faticoso rosario di annunci, smentite, tentennamenti di molte cancellerie europee che sancisce il principio 'due Stati, due popoli') e afferma senza equivoci il rientro sulla scena internazionale della Palestina.Per calcolarne la portata basta pensare agli sforzi che Stati Uniti e Israele hanno fatto fino alla vigilia per impedire quel «colpo di mano», compresa l’esplicita minaccia israeliana affinché Abu Mazen rinunciasse, procrastinasse, limitasse le possibilità e le prerogative che spetteranno alla Palestina, prima fra tutte il diritto di accedere a Trattati, Corti di Giustizia e Convenzioni, il cui esito più temuto è il ricorso al Tribunale Penale Internazionale. Giornata fatidica, dunque. La scelta stessa dei tempi ridonda di simboli: esattamente 65 anni fa, il 29 novembre 1947, la Risoluzione 181 dell’Onu ripartiva la Palestina uscita dal Mandato britannico in due Stati, uno arabo e uno ebraico (disegno mai attuato per il rifiuto arabo di accettare la spartizione e foriero di tre guerre); 41 anni dopo con la Dichiarazione di Algeri Yasser Arafat proclamava unilateralmente la nascita di uno Stato palestinese (di fatto una serie di uffici dell’Olp sparsi per il mondo) e non per caso nelle stesse ore in cui era previsto il voto al Palazzo di Vetro si completava a Ramallah la riesumazione della salma di Arafat, su cui gravita non da oggi il sospetto di una morte non accidentale. Come leggere dunque questa svolta?Che significato dare al successo diplomatico di Abu Mazen? È una vittoria di Pirro che allontanerà il processo di pace in quanto delegittima gli accordi di Oslo del 1993 che prevedevano che la nascita di uno Stato palestinese avvenisse esclusivamente attraverso negoziati bilaterali? Oppure è un’occasione perché i negoziati fra l’Anp e Israele riprendano con un vigore che da anni era andato smarrito, forti anche del nuovo assetto che il mosaico palestinese ha assunto all’indomani del cessate il fuoco a Gaza (per la prima volta dal 2007 Hamas ha appoggiato le scelte di Abu Mazen e nella regione agiscono due nuovi player di peso, la Turchia e l’Egitto)?A nostro avviso è la seconda ipotesi quella che pare più convincente, tanto da avventurarci in un’equazione che speriamo i fatti non smentiscano a breve: ove torna la politica diminuiranno le bombe, più forza e prestigio si darà al moderato Abu Mazen e all’azione diplomatica e meno linfa si darà al risentimento, alla frustrazione su cui fanno leva il radicalismo islamico e le frange oltranziste che la stessa Hamas fatica a controllare e a tenere a freno. Due parole sull’Europa. Anche questa volta non è esistita una linea di condotta riconoscibile e univoca, bensì un ordine sparso, contraddittorio e a tratti incomprensibile, che ci impone per l’ennesima volta di domandarci a cosa serva un Alto Rappresentante per la politica estera della Ue, con i suoi tanti diplomatici, le sue sedi pletoriche, le sue enormi spese e soprattutto a nome di chi parla.Da non tacere il voto a favore dell’Italia: Israele comprensibilmente se ne duole, ma Palazzo Chigi è stato chiarissimo: «La decisione italiana di sostenere la Risoluzione è un incoraggiamento a proseguire sulla strada del dialogo e contro ogni estremismo. D’altra parte la nascita di uno Stato di Palestina membro a pieno titolo Onu potrà arrivare solo ed esclusivamente con il negoziato e l’intesa diretta tra le parti». Di fatto, per ora poco o nulla cambia sulla carta geografica. Cambia invece molto sulla mappa delle speranze. E non è poco.
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