Ci sono scritti che dicono molto di più di quel che le parole impresse sul foglio esprimono. Il cui significato va oltre, spesso molto oltre, l’oggettività del testo. È questo esattamente il caso della sintesi dei risultati della Visita Apostolica in Irlanda, diffusa ieri dal Vaticano, nella quale è riportato quanto è emerso dalle ricognizioni alle quattro arcidiocesi, agli istituti religiosi e ai seminari irlandesi colpiti dallo scandalo degli abusi sessuali sui minori da parte di personale ecclesiastico.
Un documento asciutto, in qualche senso – si potrebbe dire – non sorprendente, che si muove su quella linea di rigore assoluto che la stampa ha sintetizzato nello slogan
tolleranza zero, e che entro quest’anno arriverà a compimento con la stesura delle
linee guida di cui ogni Conferenza episcopale è stata invitata a dotarsi.
E così, nel testo, si trovano ribaditi tutti i punti di forza su cui quella linea è stata costruita con determinazione assoluta da Benedetto XVI. A partire dallo schierarsi della Chiesa dalla parte delle vittime, premessa imprescindibile per ogni azione di purificazione, fino a tutti gli interventi da mettere in atto innanzitutto per prevenire il ripetersi di "tali atti peccaminosi", e poi per fronteggiare senza le titubanze, le incertezze, le malintese "prudenze" del passato, l’eventuale ripetersi di episodi del genere.
Il documento è, come detto, specificamente riferito alla situazione irlandese, ma è chiaro che il discorso vale ovunque. Ed è con questa prospettiva davanti agli occhi che diventa più facilmente leggibile il senso non scritto del testo licenziato ieri. Perché, appunto, è in questa prospettiva generale che si vedono con evidenza la
promessa, l’impegno e la
certezza che con quel testo non tanto i visitatori, ma la Chiesa nel suo complesso, vuole esprimere. Con una determinazione che, in un mondo segnato dalla scandalosa piaga della pedofilia, nessun’altra realtà ha saputo sinora dimostrare.
Innanzitutto la
promessa. Che è una promessa difficile, perché va contro tutte le tentazioni che, forse comprensibilmente ma non legittimamente, lo scandalo dell’abuso sui minori può presentare. Ed è la promessa di non dimenticare quel che è successo, di non volerlo dimenticare mai. Di non pensare a nessuna opera, diretta o semplicemente affidata al passare del tempo, di rimozione. Nello scegliere di stare appunto dalla parte delle vittime, nell’assumersi il loro accompagnamento come dovere assoluto, c’è questa evidente volontà di farsi carico del peccato commesso da alcuni, senza elucubrazioni o distinguo sulla "reale portata del fenomeno". E portare assieme a loro la croce, fino in fondo. C’è poi l’impegno , che inizia proprio da questa scelta. Impegno che va oltre le iniziative specifiche sul fronte della formazione e della informazione, in quanto è un chiamare la Chiesa – che non è solo la gerarchia o i preti, ma
tutta la Chiesa – a condividere questo percorso di guarigione, a farsene carico. Perché nessuno può mettersi alla finestra e dire:
Guarda che hanno combinato, ma tutti devono sentirsi ugualmente feriti e parte della colpa e, nello stesso tempo, artefici del cambiamento.
Infine, la
certezza. Una certezza strettamente legata alla natura stessa dell’essere Chiesa, che – come anche quegli scandali hanno purtroppo confermato – resta una realtà umana, con tutte le debolezze dell’umanità, ma trae la sua vera forza nella
speranza che non delude, in Gesù Cristo che l’ha fondata e continuamente, nella storia, le infonda la capacità di rinnovarsi. Senza queste certezza, resterebbe solo la "tolleranza zero". Uno slogan. Ma qui ci sono di mezzo la misericordia e la giustizia di Dio.