Scenari apocalittici e rassicurazioni
martedì 12 giugno 2018

La ricca e competente intervista rilasciata al 'Corriere della Sera' il 10 giugno dal ministro dell’Economia Giovanni Tria ha inviato un segnale importante ai mercati. Il governo, si è capito, intende lavorare per la crescita e l’occupazione rafforzando l’Eurozona e l’euro ed è consapevole che la sostenibilità di deficit e debito sono prima di tutto fondamentali per noi come per ogni Paese del mondo, dentro e fuori un’unione monetaria.

È decisivo per gli equilibri interni che il discorso abbia ottenuto il plauso del leader del movimento Cinque Stelle, il maggior partito di governo, che si dimostra più europeista della Lega. Con l’avvento del nuovo governo è accaduto (sta accadendo) in Italia qualcosa di inedito e di molto pericoloso: un principio di crisi finanziaria che si manifesta in un periodo di crescita economica e con i rapporti deficit/Pil e debito/Pil in calo. Non si tratta di irrazionalità o di capricci della speculazione, ma dei dubbi dei risparmiatori sulla solvibilità dei nostri titoli dovuti a un contratto di governo che prevede molte spese (circa 150 miliardi) e quasi nessuna copertura, abbinato a dichiarazioni incaute rilasciate da esponenti dell’esecutivo sulla possibile uscita dell’Italia dall’euro.

Una sciagura di cui rischiamo di pagare già il conto in termini di maggiori interessi sul debito, tanto più grave perché questo periodo di (timida) crescita economica dovrebbe essere usato per rinforzare la nostra solidità economica e finanziaria al riparo da tempeste speculative internazionali sotto l’ombrello dell’euro.

Molti dei nostri problemi nascono da una difficoltà di comprensione del funzionamento dei mercati finanziari e delle politiche economiche in un mondo sempre più interdipendente ed integrato.

Il pensiero sovranista si nutre infatti di alcuni errori concettuali, ossessivamente ripetuti dai suoi seguaci nella comunicazione sociale:

1) l’unico modo per essere competitivi restando nell’euro è abbassare i salari, peggiorando la qualità del lavoro;

2) usciti dall’euro recupereremmo la sovranità monetaria e di conseguenza la libertà di determinare le nostre politiche economiche;

3) non abbiamo bisogno della finanza internazionale e possiamo farcela da soli;

4) la svalutazione della nuova valuta sarà la chiave per crescere.

Nessuna di queste proposizioni è corretta.

La corsa al ribasso del costo del lavoro è un fenomeno più profondo legato alla globalizzazione. Nei Paesi con sovranità monetaria come gli Stati Uniti i lavoratori di bassa e media qualifica soffrono degli stessi problemi. Si può aumentare qualità e quantità del lavoro nell’euro risolvendo i difetti strutturali del nostro sistema, migliorando in tecnologia e formazione del lavoro.

L’idea che fuori dall’euro saremmo più liberi e potremmo fare qualunque cosa è anch’essa falsa. La storia economica passata e recente è piena di Paesi 'liberi e sovrani' che con la loro fragile barchetta rischiano immediatamente di affondare quando le condizioni si fanno più difficili. Basta un aumento dei tassi d’interesse dei Paesi guida (Stati Uniti in primis) per trasformare un raffreddore in una polmonite, come sta accadendo in questi giorni in Argentina e Turchia, e come accadeva in Italia prima dell’euro, rendendo obbligatorie manovre di aumento dei tassi e limitando le possibilità di manovra dei Paesi 'sovrani'.

La nostra posizione finanziaria netta a livello internazionale ( Net International Investment Position) è migliorata, ma è ancora in passivo di 112 miliardi, con 750 miliardi di titoli di debito pubblico italiano detenuti da non residenti. Impossibile pensare di potercela fare da soli, se non sotto ipotesi irrealistiche come l’obbligo per i cittadini e le imprese di liquidare investimenti finanziari all’estero e investire solo in Italia sotto rigorosi controlli ai movimenti di capitali.

Le svalutazioni, infine, non sono la bacchetta magica per il Paese e per l’export. Dentro l’euro abbiamo integrato le nostre filiere di prodotto con quelle degli altri Paesi (il 25% del valore aggiunto prodotto dall’export tedesco va a imprese italiane che fanno componenti del prodotto finito) e siamo già tra le maggiori potenze commerciali mondiali. La svalutazione impoverirebbe il nostro export e il suo contenuto tecnologico e aumenterebbe il prezzo dei beni importati generando forti pressioni inflazionistiche. I nostalgici della lira sembrano aver dimenticato che quello non era affatto il migliore dei mondi possibili e che proprio i suoi gravi limiti (inflazione, alti tassi d’interesse, estrema sensibilità agli choc finanziari globali) ci hanno spinto a cercare riparo sotto l’ombrello dell’euro.

E sembrano ignorare che il mondo di oggi è molto più interdipendente e integrato di quello di allora rendendo ancora più pericoloso un eventuale esodo dall’euro e molto più simile a un inferno che a una 'terra promessa' l’eventuale approdo di questo viaggio. Non ci resta che lavorare assieme agli altri Paesi membri per aumentare le potenzialità dell’Unione Europea ed evitare vittimismo e alibi che identificano in nemici esterni le cause dei nostri problemi e indeboliscono gli sforzi e gli impegni nel creare le condizioni per cavarcela da soli.

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