venerdì 16 novembre 2012
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Dome­nica è stato dato il via libera alla missione militare panafricana per liberare le regioni settentrionali del Mali da gruppi jihadisti che vorrebbero foraggiare la lotta armata di altre formazioni eversive nell’Africa subsahariana, come i Boko Haram della Nigeria. La decisione è stata presa dagli Stati membri della Comunità economica dell’Africa Occidentale (Ecowas), con l’intento di evitare conseguenze dannose a livello continentale.
Si tratta di un’operazione che richiama alla mente quella che venne attuata in Sierra Leone, negli anni Novanta, con l’intento di arginare l’offensiva dei famigerati ribelli del Fronte Unito Rivoluzionario (Ruf). In quella occasione, però, fu dispiegata una forza d’interposizione – l’Ecomog, braccio armato dell’Ecowas – all’epoca sotto il comando nigeriano.
Questa volta, invece, sarà 'guerra aperta' contro una serie di formazioni che perseguono differenti obiettivi. Infatti, un conto sono i gruppi più agguerriti, legati ad al-Qaida come gli Ansar Dine o gli Jamat Tawhid Wal Jihad Fi Garbi Afriqqiya (responsabili, peraltro, del rapimento, lo scorso anno, di Rossella Urru); un altro i combattenti del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla), braccio armato indipendentista del popolo Tuareg. Questi ultimi sono sempre più emarginati all’interno dell’alleanza jihadista, non condividendo l’applicazione della sharìa, la legge islamica, nella regione settentrionale del Mali, denominata Azawad. Il comando dello Mnla ha accettato, in linea di principio, l’ipotesi di un intervento militare straniero, ma solo se verrà finalizzato a spazzare via gli jihadisti, che da mesi la fanno da padroni, imponendo un processo di islamizzazione di tutto il territorio con caratteristiche molto simili ai taleban dell’Afghanistan o agli al Shabaab della Somalia.
Si deve tenere conto che l’intervento militare comporta notevoli rischi, non solo per la complessità del quadro regionale del Sahel, ma soprattutto per le interferenze del movimento salafita, foraggiato dai sauditi, che si sta consolidando nell’Africa mediterranea con l’uscita di scena di Mubarak e Gheddafi. Pur di sconfiggere chi li ha costretti a fuggire dalle loro terre ancestrali, i Tuareg sarebbero disposti ad allearsi anche con l’Ecowas, anche se poi resterebbero aperte le loro rivendicazioni per la creazione di uno Stato autonomo. Un indirizzo politico, questo, che in sede di Unione Africana (Ua) molti governi come l’Algeria aborriscono e che altri guardano con grandissima diffidenza e preoccupazione. Il rischio, inutile nasconderselo, è che il Mali si trasformi in un’altra Somalia, vale a dire in un territorio parcellizzato, sotto il controllo dei vari signori della guerra. Intanto, pare che la Francia, ex potenza coloniale, interessata al controllo delle immense risorse minerarie dell’Azawad (petrolio e uranio) abbia già messo a disposizione dei droni di sorveglianza per la raccolta di informazioni militari. Inoltre, nei circoli diplomatici accreditati a Parigi, si sussurra che il governo di Hollande abbia già dato il suo assenso all’arruolamento di mercenari da utilizzare contro le milizie estremiste islamiche. In linea di principio, l’Ecowas vorrebbe tenere aperta fino all’ultimo la porta del dialogo, sapendo bene che un’azione militare potrebbe scatenare un’ondata terroristica in tutta la fascia saheliana.
Ma ormai il tempo stringe e sono in molti a pensare, con un cinico gioco di parole, che «a Mali estremi, estremi rimedi». La risoluzione della crisi che attanaglia l’Azawad è complessa per un intreccio di interessi che stanno trasformano il continente africano in quello che, dal secondo Novecento fino ad oggi, è stato il Medio Oriente: un fronte sul quale si contrappongono direttamente o indirettamente i principali attori della scena internazionale. Uno scenario inquietante di fronte al quale, le libere coscienze, su scala planetaria, sono chiamate a difendere il bene universale della pace.
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