Avanti un altro. Il ribollente maelstorm in cui si è trasformata la Casa Bianca nell’era Trump ha trascinato nel gorgo anche il vascello – all’apparenza così resistente – del consigliere per la Sicurezza nazionale, il generale Herbert Raymond McMaster. Difficile ormai tener conto delle rimozioni e delle sostituzioni all’interno dell’Amministrazione statunitense. In poche settimane hanno abbandonato il loro incarico (o sono stati cacciati via twitter) il consigliere economico Gary Cohn, risolutamente contrario alla politica di dazi voluta dal presidente e il segretario di Stato Rex Tillerson, ritenuto troppo 'istituzionale' e in rotta di collisione da tempo con Trump, sostituito dal direttore della Cia, il superconservatore Mike Pompeo.
Ora è stata la volta di McMaster, uno dei militari più stimati e apprezzati nelle forze armate statunitensi. Al suo posto, Trump ha voluto in quella posizione John Bolton, il «falco dei falchi» come è stato talora definito. Ai tempi dell’invasione dell’Iraq nel 2003, strenuamente sostenuta, Bolton si era fatto la fama di neo-conservatore brutale nella propria ostilità verso tutto ciò che incarnasse i princìpi della diplomazia multilaterale, a vantaggio di un linguaggio da film western alla John Wayne. L’accoppiata Pompeo-Bolton è francamente da brividi: entrambi insofferenti verso le mediazioni diplomatiche, favorevoli a politiche aggressive verso gli «Stati canaglia», per riprendere un’altra definizione del periodo neo-con americano che si sperava definitivamente superato, arroganti verso gli alleati che non si allineano rapidamente agli umori di Washington, fautori di politiche molto dure contro Iran e Nord Corea.
Entrambi sono per stracciare unilateralmente il compromesso sul nucleare stipulato dall’Onu con Teheran (nonostante questo porterebbe a un’ulteriore frattura con l’Europa e con le Nazioni Unite) e minacciano apertamente misure militari contro Pyongyang, suscitando i timori dei loro stessi alleati nella regione. Insomma, sembra che il presidente Trump, sempre più umorale, insofferente verso ogni consigliere che cerchi effettivamente di consigliarlo e non solo di assecondarlo, tediato dai lunghi briefing quotidiani che cercano di sottolineare la complessità degli scenari internazionali, si rifugi sempre più in un inner group composto da politici e consiglieri che vedono il mondo in bianco/nero: granitiche certezze, pochi distinguo, niente dubbi.
L’azione, che è divertente, prima della riflessione, che è noiosa. Persone come Bolton e Pompeo vivono di slogan e iperboli, auspicano un’America aggressiva che tiene in riga, con le buone, ma soprattutto con le cattive, i teppistelli della politica internazionale e chi minaccia il primato della nazione nel mondo, vuoi a livello politico, vuoi a livello economico. Peccato che la loro visione sia spesso deformante, più simile a un videogioco che alla complessa realtà post moderna.
Sono inoltre molto legati alle lobby politiche e finanziarie che sembrano spadroneggiare oggi nelle stanze del potere statunitense: da quella della National Rifle Association, ossia i produttori di armi, ai sostenitori acritici di Arabia Saudita e Israele, che spingono per una politica ai limiti dello scontro militare con l’Iran. Sono personaggi che rischiano di assecondare lo spirito più avventurista di un presidente poco preparato e, ciò che è peggio, per nulla interessato ad approfondire le questioni internazionali e i dossier geopolitici e geoeconomici.
Tutti coloro i quali sembrano 'istituzionali', o possono essere bollati come 'professorini', godono di sempre meno simpatia. Chi ancora pensava che la nomina di un terzetto di generali pluristellati – McMaster, il capo di gabinetto John Kelly e il segretario alla Difesa James Mattis – potesse in qualche modo imbrigliare la volubile imprevedibilità del presidente e soprattutto evitare lo slittamento verso una narrativa che predilige gli scenari estremi deve ricredersi. Se, come si vocifera, anche Kelly dovesse essere sostituito con gli stessi criteri, l’avventurosa retorica radicale di personaggi come Pompeo e Bolton si farebbe più preoccupante. Forse più ancora per gli amici che per i nemici di Washington.