Invadendo l’Ucraina, Vladimir Putin ha voluto piantare un cuneo tra l’Occidente e il resto del mondo. Una mossa dura e astuta, studiata per alterare la prospettiva con cui molte cancellerie guardano a quello che accade in Ucraina: non una invasione, ma un atto di ribellione al dominio occidentale. Il successo di Putin non dipende solo dai risultati sul campo, ma anche dalla riuscita del suo progetto di arruolare altri governi al suo disegno.
Una linea che si è potuta chiaramente vedere nella recente riunione dei Brics (5 Paesi emergenti: Cina, India, Sudafrica Brasile e Russia, che insieme fanno il 23% del Pil e il 40% della popolazione globale) dove è stata condivisa l’idea della necessità di costruire un nuovo ordine globale. Una posizione che rappresenta soprattutto il punto di vista della Cina, che può approfittare della situazione per ridefinire i rapporti di forza a livello planetario, oltre che per i risolvere a proprio vantaggio la questione di Taiwan. Nelle intenzioni di Pechino, l’isola è destinata a fare la stessa fine di Hong Kong.
Tutto ciò significa che non si può guardare a quello che sta accadendo in Ucraina senza considerare questi movimenti più generali che stanno scuotendo il mondo. E i cui esiti sono altamente incerti. In questa situazione, l’Occidente dovrebbe cercare di evitare che la crepa creata dal cuneo conficcato da Putin nel processo della globalizzazione non si allarghi fino a creare un vero e proprio fossato. Sia perché da una frattura di questo tipo potrebbero derivare conflitti ancora più grandi; sia perché da una esacerbazione delle tensioni tutti (compresi Usa e Ue) avrebbero solo da perdere. La democrazia e la libertà – i grandi valori di cui l’Occidente va fiero – sono possibili solo in contesti regolati da istituzioni. La storia lo insegna: i conflitti che inevitabilmente si vengono a creare tra visioni e posizioni diverse possono essere ricomposti e attenuati a condizione che esistano istituzioni in grado di governarli. Solo la dimensione istituzionale permette di evitare che sia la violenza a risolvere le controversie. Quando questo non avviene, soprattutto nelle fasi liminali – cioè di passaggio – in cui l’assetto istituzionale si rivela inadeguato, cresce il rischio che sia la violenza a prendere il sopravvento.
La risposta che l’Occidente ha opposto all’attacco russo – sostenere la legittima difesa Ucraina – è stata giusta. Di fronte all’aggressione di una nazione indipendente si deve rispondere affermando che tale iniziativa non è ammissibile. Di fronte alla prepotenza occorre opporre una resistenza. Ma se questo primo movimento rimane imprigionato nella violenta logica bellica voluta da Putin si finisce con il fare il gioco dell’aggressore.
Occorre dunque urgentemente, come invoca il Papa, sviluppare anche il secondo movimento, quello diplomatico, di cui si parla ma rispetto al quale ben poco si è fatto. Un movimento che non può che essere giocato sul piano istituzionale. Uno sviluppo proposto anche con l’«Appello del 20 giugno» per un’iniziativa Ue che arrivi all’Onu lanciato in Italia da una rete associativa per la pace e da questo giornale. È necessario, nonostante ora con Putin non si possa e non si riesca a dialogare. Il passo che ha compiuto è troppo grave e lo spinge in una spirale che rischia di essere irreversibile. Per questo, come tanti analisti hanno osservato, occorre cercare un qualche punto di caduta che gli permetta (forse) di trovare una via d’uscita. Ma soprattutto è doveroso negoziare con tutti gli altri Paesi che, senza essere direttamente coinvolti nel conflitto, pure parteggiano con la Russia o comunque non la frenano. Per quanto arduo, con questi Stati il dialogo è ancora una opzione.
Sappiamo tutti che l’Onu è oggi ampiamente inadeguata. Eppure è l’unico ambito istituzionale globale di cui disponiamo. Eredità fragile dell’ultimo conflitto mondiale, l’Onu fu creata proprio per cercare di gestire i conflitti come quelli che stiamo vivendo. Quando cioè diventa difficile distinguere le ragioni espresse dagli interessi contrapposti. E la strada maestra per cercare di sciogliere il groviglio che si è venuto a formare alla fine di trent’anni di globalizzazione sregolata passa proprio da un rilancio creativo delle Nazioni Unite. Solo l’Onu – soprattutto per quello che deve diventare – può essere la sede istituzionale attorno a cui costruire la pace. Una via ardua che richiede grande determinazione e passi non assicurati, ma che vanno compiuti nella convinzione che solo così sia possibile tagliare l’erba sotto i piedi di Putin. E disinnescare il suo disegno distruttivo senza assecondarlo.
Non è un percorso facile. Ma è la situazione che è difficile. Occorre fare di tutto per evitare che ad affermarsi – tanto in Russia quanto nel resto mondo, incluso l’Occidente – sia solo l’immaginazione della 'vittoria' militare. Un risultato insensato e irrealizzabile se non al prezzo di milioni di vittime e, probabilmente, della distruzione del Pianeta.