mercoledì 6 aprile 2016
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C esare Maldini, scomparso nella notte di sabato scorso, è noto per la carriera di atleta, i quattro scudetti vinti con il Milan e il suo essere stato il primo italiano a sollevare la Coppa dei Campioni, nel 1963. Ricordiamo il suo essere stato contemporaneamente assistente di Enzo Bearzot e fratello maggiore dei calciatori che regalarono all’Italia il Mondiale del 1982. Abbiamo distintamente chiaro il suo essere maestro di calcio, grazie ai tre Europei vinti alla guida dei giovani dell’U21. Come dimenticare un derby vinto (da allenatore) 6-0 e la bella esperienza sulla panchina del Paraguay? Tuttavia il ricordo più intenso di Cesare Maldini si raccoglie in un’immagine che non è raccontabile: lui, nel 1998, Ct della Nazionale che guarda il figlio Paolo in campo con quella fascia di capitano a lui, in precedenza, appartenuta. Cesare, da buon triestino, disse lapidario: «Finalmente Paolo non è più il figlio di Cesare, ma io sono il padre di Paolo», regalandoci la luce di una gioia che deve essere gigantesca. Vedere tuo figlio diventare più bravo di te, nella tua passione più grande! Un grande capitano, Valentino Mazzola, a differenza di Cesare non ebbe la fortuna di vedere con i suoi occhi il figlio Sandro indossare la fascia che gli era appartenuta, perché tragicamente caduto nel disastro aereo di Superga, con tutto il Grande Torino. I Maldini e i Mazzola restano gli unici padri/figli del calcio italiano ad aver avuto quest’onore. Tuttavia ci sono altre coppie che hanno sublimato il loro legame familiare sul campo di gioco. Viene immediatamente da pensare a Bernardo Rezende, straordinario allenatore del Brasile campione di tutto nella pallavolo, che ha affidato ormai da anni regia e fascia di capitano della Nazionale verde-oro al figlio Bruno. Non è facile persino immaginare la loro gioia al pensiero che fra pochi mesi guideranno, dalla panchina e dal campo, la Selecaõ ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, che è anche la loro città. In Italia nel 1990, campionato di basket, commosse la partita Varese-Trieste, dove il quarantenne Dino Meneghin vide, da avversario, esordire in serie A1 suo figlio Andrea, sedicenne. Vinse Dino ma quella gara passò alla storia per il loro lungo abbraccio al centro del campo a gara finita, non certo per il risultato. Ci sono almeno altre due coppie di padri e figli che, nello sport, hanno commosso il mondo. Derek Redmond, fortissimo quattrocentista britannico, era considerato fra i favoriti ai Giochi Olimpici di Seul nel 1988, ma alla gara di apertura una lesione al tendine di Achille lo costrinse ad abbandonare la gara sui blocchi di partenza. Tredici operazioni e quattro anni dopo, a Barcellona, Derek si sentiva pronto per realizzare il sogno della sua vita: una medaglia olimpica. Quella volta fu il bicipite femorale a saltare, in semifinale. Sconvolto dal dolore e dalla frustrazione Derek cominciò a saltellare per riuscire a portare a termine la gara. Un uomo corpulento superò la rete di sicurezza ed entrò in pista: era suo padre. Arrivarono abbracciati fino al traguardo mescolando le loro lacrime a quelle di un intero stadio olimpico che si era alzato in piedi per applaudirli, di fronte alla reiterazione di quell’incredibile crudeltà sportiva. Padre e figlio sono anche Dick e Rick Hoyt. Insieme sono il 'team Hoyt' e hanno completato più di mille competizioni sportive, tra le quali 7 ironman, 240 triathlon e 68 maratone. Il fatto è che Dick, il figlio, è stato colpito alla nascita da paralisi cerebrale infantile e sembrava condannato a una vita in stato vegetativo, ma Dick, il padre, non si è mai arreso e lo ha trascinato dentro a un canotto agganciato alle proprie spalle nelle gare di nuoto, trasportato seduto sulla parte anteriore della bicicletta nelle frazioni di ciclismo e spinto sulla sua sedia a rotelle nelle gare di corsa. ' Fathers and Sons', canterebbe Cat Stevens, capaci di realizzare sogni, spostare limiti e ispirarci. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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