Come riferito da Avvenire l’11 maggio, sono 1.284 finora i pianeti certificati da Kepler, il telescopio spaziale che fruga nell’Universo alla ricerca di altri mondi. Complessivamente gli
esopianeti salgono così a non meno di 3.200, il che fa dire a Ellen Stofan, Chief Scientist della Nasa, che tutto ciò «ci lascia sperare che da qualche parte là fuori, attorno a una stella simile alla nostra, potremmo scoprire un’altra Terra». Scienziata di fama, geologa del nostro Sistema solare, Stofan crede nella vita extraterrestre. Non è, del resto, la sola. Ormai la gran parte degli astrofisici, grazie alle sempre più alte e sofisticate capacità di esplorazione del Cosmo, ritiene prossima la scoperta di vita altrove. Il telescopio Kepler è già un perlustratore di gran rango, ma occhi sempre più potenti potranno presto dirigere lo sguardo nell’Universo più remoto, in quei cieli misteriosi dove la nostra immaginazione di credenti collocava l’aldilà. Così, se nessuno, tranne la nostra fede, ci ha mai dato la dimostrazione dell’aldilà, oggi la Scienza la dà. Ce la dà però del suo aldilà, non del nostro. Del suo aldilà che telescopi sempre più possenti rendono pressoché tangibile. Beninteso, noi non vediamo pianeti viventi, non li vediamo noi oggi e presumibilmente non li vedranno neanche le future generazioni, ma la Scienza ci sta dicendo (ripetendocelo pressoché ogni giorno) che quei pianeti ci sono perché i suoi strumenti li hanno captati, studiati, esaminati. Li hanno interpretati e capiti.
Ecco, dunque, l’aldilà. Simone Weil diceva che noi sappiamo assai poco sull’aldilà perché poco lo studiamo e (valeva per i suoi tempi, vale ancor di più oggi) meno ancora ce ne occupiamo. Bene, oggi la Scienza, l’astrofisica, l’esplorazione spaziale se ne occupano a tutto campo ed eccolo scoperto, l’aldilà. È non un generico cielo, ma la somma dei cieli, il cielo che ospita il nostro sistema solare e gli infiniti altri occupati da galassie che si sommano a galassie in uno sterminato tessuto di soli e di pianeti che ormai si contano a migliaia e però già si sa che sono miliardi e che tra di essi 'non può non esserci' un altro corpo celeste simile al nostro. Una volta trovatolo, ferma restando la sua inarrivabile distanza da noi, dunque la sua inconoscibilità pratica, sarà il vero 'altro mondo'. Dopodiché le domande che questo 'altro mondo' ci pone, si moltiplicano e si complicano. Ho provato a farne qualcuna e la risposta è stata o uno stupito silenzio, oppure un: 'Lascia stare, sono cose troppo al di là della nostra comprensione'. Ma lo sono? In apparenza lo sono senza dubbio. La domanda, per esempio, sul Dio creatore del Cielo e della Terra di cui ci ha parlato fin da bambini il catechismo la si può aggiornare così: Dio di questo nostro mondo e del sistema solare di cui fa parte o Dio anche di tutto il resto, questo infinito resto che trascende il nostro umano comprendere? E della vita su tutti questi nuovi pianeti è sempre il nostro Dio, il Dio Padre, che se ne occupa? Era un soffitto trapunto di stelle il Cielo dell’uomo antico, è di un’inimmaginabile, incomprensibile vastità il Cielo di oggi. In questo modo tutto appare come una tela da tornare a pitturare, come un quadro da ridipingere, ma con i pennelli e i colori della Scienza, i soli accettati dall’uomo 'razionale'. Quanto alla Chiesa, non facilmente e non abitualmente si pronuncia su questi temi. Dove si può sentire oggi un’omelia che affronti il 'nuovo' Universo e lo confronti con il vecchio? Le domande allora si susseguono e s’intrecciano lasciandoci come in sospensione tra il Nulla e il Tutto. Un Nulla senza Dio, un Tutto che si propone come il risultato di quanto è stato scientificamente provato, verificato, constatato. Un Tutto, dunque, di cui il divino non fa parte perché fondato sul Nulla. Ma se la Scienza con i suoi calcoli e le sue scoperte non ha bisogno di Dio è perché la Scienza non ha bisogno di un’anima. Di un’anima ha bisogno l’uomo ed è quest’uomo che nel 'nuovo' Universo, aprendo gli occhi della fede, può scorgere novità impensate. Fino a scoprire, per dirla nella nostra lingua di credenti, la fiamma di un nuovo Annuncio. Di un messaggio, cioè, capace di dirci che tante e così straordinarie novità possono ben arricchire la nostra speranza, possono ben rinnovare e affinare la nostra fede.