Nel 1968, partecipando al mio primo comizio politico, ascoltai un esperto, competente ma un po’ noioso, esaltare le virtù del mercato comune. Le sue ragioni, ma, ancora di più, le esperienze di guerra di mio padre e di mio nonno, mi convinsero che più mascelle e meno guerra – se posso citare una famosa frase di Churchill, – erano una buona ragione per entrare nel mercato comune. Mio papà aveva combattuto a Monte Cassino e nel deserto nordafricano, suo fratello era stato ucciso nella Raf e suo padre era stato nelle trincee delle Fiandre e, più tardi, in Mesopotamia e in Terra Santa. Come cattolico avevo altre ragioni per sostenere il libero mercato e l’allora Comunità Economica Europea.
Adenauer, Monnet, Schumann, De Gasperi e gli altri padri fondatori cattolici dell’Unione Europea erano stati tutti formati dalle strazianti esperienze del nazismo e del fascismo. Tutti forgiati dai principi umanisti cristiani: sussidiarietà, solidarietà, promozione del bene comune, una fede nella giustizia sociale e nella riconciliazione. Mi ha sempre deluso che le scuole britanniche – e le 2200 scuole cattoliche qui non fanno differenze – non hanno mai inserito, nel programma scolastico, un corso che spieghi quegli eventi e la visione dei padri fondatori.
È una lacuna davvero deplorevole. Il mio collega Lord Peter Hennessy, anche lui cattolico, che è anche il più famoso storico contemporaneo del Regno Unito, ha descritto benissimo, con questa frase, piena di humour inglese e molto vera, il rapporto tra i britannici e l’Unione Europea. «L' Europa è stata avviata da burocrati francesi intelligenti, cattolici e di sinistra. La maggior parte dei britannici si trova a disagio con almeno tre di questi cinque gruppi». Ma questi non sono mai stati, a dire la verità, problemi insormontabili. Nel 1975, durante l’altro referendum sull’Europa, da giovane politico, a Liverpool, mi sono battuto nella campagna elettorale perché la Gran Bretagna rimanesse nella Comunità Economica Europea e il 67% dei cittadini britannici mi diedero ragione.
E allora che cosa non ha funzionato questa volta? Nel 1992, al momento della promulgazione del Trattato di Maastricht, ho criticato le élites politiche perché correvano troppo veloci per l’opinione pubblica e, nel 2007 mi sono espresso contro il Trattato di Lisbona nella convinzione che mettesse a rischio molto di quello che la Comunità Europea aveva ottenuto. La maggior parte dei britannici, probabilmente, crede ancora in una Comunità libera di nazioni Europee, ma, certamente, non in un superstato centralizzato con una serie di politiche, dalla moneta unica a un esercito europeo, che vengono applicate indifferentemente a Paesi diversi tra loro. Ho votato per rimanere nel referendum della scorsa settimana, ma non credo negli Stati Uniti d’Europa ed è stata l’idea che si andasse verso questo futuro che ha convinto molti a votare “leave”.
Benché, insieme alla mia famiglia, abbia votato per rimanere nell’Unione Europea, ho previsto una vittoria per il campo del “leave”. Incolpo di questo i politici, sia di Westminster sia europei, che si sono allontanati dalle persone che dovrebbero rappresentare. Non ha aiutato molto che Jean-Claude Juncker, pochi giorni prima che la Gran Bretagna votasse, dicesse agli elettori britannici che non avrebbe importato molto come avrebbero votato. Oggi lo stesso Juncker sembra determinato, con cattiveria, a ottenere vendetta e punire i britannici. Un’arroganza prepotente non certo degna dei padri fondatori. Continui così e non sarà soltanto il Regno Unito che chiede di uscire dall’Unione Europea ma anche gli olandesi, i danesi, gli svedesi, i polacchi, i cechi, gli slovacchi e gli ungheresi.
*Membro della Camera dei Lord (Traduzione di Silvia Guzzetti)