Negli ultimi vent’anni abbiamo perso circa 180mila fra medici e infermieri. Sono professionisti sanitari che si sono trasferiti in vari Paesi europei, prevalentemente nel Regno Unito, soprattutto nel triennio 2019-2021 con una fuga di oltre 17.000 infermieri e 21.000 medici e con una perdita di circa 3,5 miliardi di euro, che rappresenta l’investimento dello Stato per la loro formazione. Le ragioni sono prevalentemente dovute alle condizioni di lavoro, con particolare riferimento a un miglior salario. È inutile farci illusioni: le perdite di personale continueranno, sia perché c’è una riduzione della popolazione giovanile sia perché abbiamo un’età media elevata. e quindi avremo un ulteriore sbilanciamento fra i pensionamenti e le nuove leve.
Fra l’altro si assiste a una tendenza da parte dei medici a disertare i Comuni agricoli per “migrare” nelle zone urbane dove è più facile integrare le entrate pubbliche. Ci sono purtroppo centinaia di piccoli Comuni che non hanno più un medico. È illusorio pensare che sia sufficiente far lievitare le quote di studenti fissate dall’attuale numero chiuso per le ammissioni alle Scuole di medicina delle Università, perché gli studenti sono già troppi ed è piuttosto necessario aumentare le capacità formative delle Scuole di medicina se vogliamo avere medici e infermieri in regola con gli sviluppi delle conoscenze mediche. Di fronte a questa situazione è molto strana la tendenza emersa in Parlamento a pensare che si possa mantenere l’attuale sistema dei medici di medicina generale e contemporaneamente un migliaio di Case di Comunità e 400 Ospedali di Comunità.
Dove si trova il personale se manca già oggi per le strutture esistenti? I medici di medicina generale dovrebbero, invece, aumentare la loro produttività a favore del Servizio sanitario nazionale nella posizione di dipendenti, facendo parte delle Case di Comunità con la possibilità, lavorando insieme, di tenere aperti gli ambulatori sette giorni alla settimana ed evitando così gli affollamenti al Pronto Soccorso che impediscono le funzioni fondamentali di questo servizio rivolto alle gravi urgenze. Gli oppositori del progetto arrivano perfino a invocare il diritto dei cittadini a scegliere il medico di propria fiducia.
Chi ha deciso che le Case di Comunità non lo consentano? Semmai nelle Case di Comunità si avrà il vantaggio di trovare comunque un medico anche quando il proprio medico di fiducia sia assente. Se vogliamo che il Servizio sanitario nazionale sia sostenibile ed efficiente occorre affrontare il problema con grande urgenza orientandosi verso una serie di decisioni. Ne cito alcune: aumentare le Scuole di medicina per poter accrescere il numero degli studenti, anche se questo è un rimedio che darà i suoi frutti fra almeno 8-10 anni; incrementare gli stipendi dei sanitari ospedalieri per poter eliminare le attuali diseguaglianze – in contrasto con la Costituzione – per cui chi ha soldi, attraverso l’intramoenia, può avere servizi rapidi mentre per chi è povero entrano in gioco le lunghe liste d’attesa; costituire gradualmente le Case della Comunità con servizi socio-sanitari e l’aiuto del volontariato (le Case della Comunità devono includere, come dipendenti, i medici di medicina generale in aggiunta a infermieri, il pediatra di famiglia, psicoterapisti e fisioterapisti con una segreteria informatizzata e servizi di telemedicina, nonché la partecipazione dei servizi sociali e del volontariato); non realizzare gli Ospedali di Comunità, abolire i piccoli ospedali e concentrare il personale negli ospedali con adeguate strutture per aumentare la produttività di medici, infermieri e altri professionisti sanitari. È intorno a questi problemi che bisogna stimolare la discussione in Parlamento con audizioni e convegni. Ma bisogna far presto, altrimenti il Servizio sanitario sarà solo un bel ricordo.
Presidente e fondatore Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs