«Copri naso e bocca». All’ordine secco, però, la mano risponde troppo tardi. Appena varcata la soglia della villa, l’odore, rapido come una freccia rovente, penetra le narici fino a conficcarsi in gola. Bidoni di acidi e sacchi di soda caustica, aperti e chiusi, sono ammassati ovunque. Grazie a queste sostanze e agli enormi miscelatori di metallo addossati alle pareti, il cloridrato di fenitillina si trasforma in captagon, la droga sintetica più diffusa in Medio Oriente. Le pasticche beige passano di mano in mano alle feste dell’élite saudita e emiratina. Tagliate con caffeina e altri eccitanti vengono consumate, però, anche dai lavoratori poveri per sopportare la fatica. E dai combattenti – di Hamas come del Daesh – per perdere paura o freni inibitori. Per questo la chiamano “la cocaina dei jihadisti”. Sul pavimento, sono sparse centinaia di palline di plastica bianche, in grado di contenere fino a quattro pillole.
Nascoste nei doppifondi dei camion o confuse nei carichi di frutta o verdura, prendevano la via del Libano, distante appena una trentina di chilometri. Da lì, con la protezione di Hebollah, venivano esportate nei Paesi del Golfo e del Nord Africa. Senza sosta, da anni, racconta la gente di Ad Dimas, cittadina di 10mila abitanti a nord-ovest di Damasco. Tutti lo vedevano. Tranne le truppe della Quarta divisione, guidata da Maher al-Assad, fratello minore di Bashar. È questa unità speciale dell’esercito e spina dorsale delle forze di sicurezza del passato regime a controllare l’intera area. Basi e check point spuntano ovunque. Anche se ora, mal ridotte e abbandonate, sono una nemesi del passato recente. Dai cancelli della più grande, alle porte della cittadina, escono due ragazzini intenti a portare via lampade e narghilé. I loro piedi calpestano foto in brandelli dell’ex presidente. Non c’e’ traccia dei soldati che, fino a domenica, impedivano a chiunque di avvicinarsi alla sontuosa dimora adibita a “laboratorio di Captagon”. Gli ufficiali sono fuggiti e i militari di basso rango – residenti ad Ad Dimas con le famiglie – si sono tolti la divisa.
Un laboratorio di Captagon in Libano in un'immagine d'archivio - .
Quattro giorni fa, dunque, gli abitanti si sono rivolti alla nuova autorità: i miliziani di Hayat Tahrir al-Sham. «Ci hanno detto di avere visto scappare tanti uomini armati. Quando siamo arrivati non c’erano più. Si erano lasciati dietro, però, le attrezzature» dice, mentre indica i macchinari alle spalle, il capo dei tre combattenti che presidiano la villa-laboratorio. Una delle migliaia disseminate per la Siria diventata, nell’ultimo decennio, la “fabbrica” mondiale dello stupefacente. Otto pasticche su dieci, secondo fonti britanniche, vengono confezionate a Damasco e dintorni. Un’industria fiorente: solo nel 2021, ha contribuito per 6 miliardi di dollari al Pil nazionale, due terzi del totale. Poco più di due miliardi – sostengono gli esperti e le recenti scoperte sembrano confermarlo - finivano direttamente nelle tasche del regime. Il resto manteneva a galla l’economia siriana, prostrata da tredici anni di guerra civile e dalle sanzioni internazionali. Il nuovo governo ha promesso tolleranza zero. L’era del Captagon – garantisce – è finita: «Che cosa faremo con tutto questo? – conclude il miliziano che preferisce restare anonimo – Oggi arriveranno i funzionari del ministero della Salute e decideranno. Ma una cosa è certa: la nuova Siria non sarà più un narco-Stato».