mercoledì 13 settembre 2023
Negoziati nell’ombra, trattative e compromessi, gli appelli dal Vaticano. Gli escamotage e i rischi che corrono i volontari che entrano in territorio russo per farsi consegnare i piccoli
Un bambino portato via un anno fa e tornato ieri con la mamma. Insieme a lui sono stati riconsegnati altri 12 minori

Un bambino portato via un anno fa e tornato ieri con la mamma. Insieme a lui sono stati riconsegnati altri 12 minori - Save Ukraine

COMMENTA E CONDIVIDI

Altri 13 solo ieri. Dapprima nel silenzio e all’ombra. Settimane di trattative, di tensioni, di interrogatori. E di compromessi. Tutto per riportare a casa i bambini deportati dalle autorità russe. Il più piccolo ha poco più di un anno, in gran parte passato in mezzo a sconosciuti e con il rischio di venire adottato in Russia senza che si potesse mai più rintracciarlo. La più grande non ha 16 anni. C’è chi riabbraccia i nonni, i genitori, chi i volontari di uno degli istituti per ragazzi di famiglie vulnerabili evacuati con la forza dai soldati di Mosca. E c’è lui, il più piccolo, che piange mentre ritrova la mamma e la guarda come a rimproverarla. Perché è troppo piccolo per sapere di non essere stato abbandonato, ma di fatto rapito.

Le loro storie sono lo specchio della guerra, e di un conflitto nel conflitto. Lo spiega Mykola Kuleba, già Commissario presidenziale per l’Infanzia e ora a capo di “Save Ukraine” l’organizzazione di volontari che negozia con le autorità russe. Una delle bimbe tornate ieri ha vissuto il dramma della divisione causata dalla guerra. I genitori avevano divorziato prima del conflitto, ma allo scoppio della guerra hanno assunto posizioni diverse: “La madre - racconta Kuleba - temeva per l’UCraina, il padre si è unito ai filo-russi”. La donna venne minacciata di venire privata della figlia che è stata costretta a frequentare una scuola russa. Oppure Olesia, una bimba del Donbass che la mamma ha tenuto nascosta per quasi un anno temendo che venisse portata via come era successo con altri bambini.

Ogni tanto vengono restituiti in gruppo, non di rado uno per volta. Come Mykyta, portato via dai russi a ottobre di un anno fa. Spostato come un pacco da una città all’altra, dalla Crimea alla Russia, da un collegio a un orfanotrofio, mentre nonna Polina lo cercava ovunque. Ufficialmente sono 386 i bambini ucraini restituiti dal trasferimento forzato. Nella realtà sono già più di 500. Molte operazioni di recupero avvengono nella discrezione, cercando di sfruttare ogni spiraglio nella burocrazia di Mosca.

Uno dei bambini riportati in territorio ucraino dai volontari

Uno dei bambini riportati in territorio ucraino dai volontari - Save Ukraine

La notizia giunge mentre procede la missione del cardinale Matteo Zuppi per quella che è stata ribattezzata come “diplomazia umanitaria”. Il viaggio in Cina è una tappa attesa e insieme un successo diplomatico. A 100 giorni dalla visita a Kiev, l’inviato del Papa dopo Mosca e Washington si appresta a incontrare la diplomazia di Pechino, completando il primo giro di contatti improntato innanzitutto alla costruzione di percorsi che possano facilitare il rilascio dei bambini e lo scambio dei prigionieri.

Secondo Kiev i bambini deportati sono circa 20mila, ma nessuno al momento è in grado di fornire cifre dettagliate poiché la situazione nei territori dove si combatte manca di informazioni indipendenti.

In queste settimane sulla rotta Kiev-Mosca è stata sperimentata una linea di comunicazione, molto accidentata ma comunque attiva, che permette ad alcune organizzazioni umanitarie di stabilire contatti con le istituzioni russe. Nessuno s’illudeva che vi sarebbero stati rilasci di massa, ma il ritorno a casa di mezzo migliaio di minori e le trattative in corso per il rientro di altri ragazzini incoraggia chi spera di riabbracciare i bambini e le organizzazioni umanitarie.

Uno sforzo ben presente alla diplomazia di Kiev. L’ambasciatore ucraino in Vaticano, Andrii Yurash, non manca di sottolineare pubblicamente l’importanza del lavoro della Santa Sede. Appena tre giorni fa, nonostante le polemiche sopra le righe innescate da un consigliere del presidente Zelensky che ha provato a sconfessare la mediazione vaticana, il diplomatico di Kiev ha commentato sui social network il sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina che dopo l’incontro con il Papa si è concluso con una liturgia «incredibilmente significativa, sulla Cattedra di San Pietro«, ha sottolineato Yurash che conosce l’andamento del dossier vaticano.

Video

Il caso di Mykyta è uno delle urgenze a cui si lavora senza sosta. Anche lui è rientrato grazie ai volontari di “Save Ukraine” che negli ultimi tre mesi hanno compiuto 11 missioni di salvataggio riportando al sicuro 176 bambini. La nonna aveva cercato Mykyta a lungo prima nella regione di Krasnodar, in Russia, dall’altra parte del Mar D’Azov, di fronte alla Crimea. Ma da sola non poteva farcela, «perché i russi la osteggiavano ad ogni occasione», ha spiegato Kuleba. La situazione si è sbloccata secondo una modalità difficile da digerire, ma che sta permettendo di superare i principali ostacoli. Come nella maggior parte degli altri casi risolti, anche nonna Polina ha dovuto subire diversi interrogatori e mostrare con ogni documento possibile il legame familiare con Mykita. Grazie al lavoro della diplomazia sotterranea, quando possibile si procede anche al confronto del Dna. Il bambino, nel frattempo, aveva ricevuto la cittadinanza russa, secondo una procedura in violazione del diritto internazionale e che ha costretto la Corte penale internazionale a emettere il mandato di arresto per Putin e la commissaria russa all’Infanzia Llova-Belova. Per aggirare l’ostacolo è stato escogitato e accettato un compromesso. Nonna Polina ha preso il passaporto russo e questo ha consentito di affidarle il bambino in custodia. Una operazione cervellotica ma che dopo tre lunghi mesi ha permesso alla donna e al suo nipotino di tornare in Ucraina. Mykita è stato consegnato direttamente dalle mani di Maria Lvova-Belova, l’Ombudsman per i diritti dei bambini della Federazione Russa che alcune settimane prima aveva incontrato il cardinale Matteo Zuppi, arrivato a Mosca per perorare la causa dei più vulnerabili. Davanti alle telecamere la fedelissima di Putin ha dichiarato di voler «promuovere sempre il ricongiungimento familiare», non prima di avere segretamente offerto a nonna Polina una lauta ricompensa perché non lasciasse la Russia, forse nella speranza di costruire un alibi davanti alla procura internazionale e una nuova occasione di propaganda. “Niet”, ha risposto in russo nonna Polina, un "no" per tornare in Ucraina dove i volontari hanno trovato una sistemazione, seguiranno la riabilitazione e continueranno a negoziare per rilasciare gli altri bambini deportati.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: