Anche la pace chiede dei riti. Occorre sottomettersi alla pace per salvarsi. Sul grande palco in piazza Dom Armije, nel centro di Sarajevo, i rappresentanti delle religioni sono passati inchinandosi sotto un tunnel di bandiere agitate da 12 giovani del Movimento «Genti di Pace». Con questo rito si è chiuso l’incontro della Comunità di Sant’Egidio di Sarajevo che manda al mondo, alle persone di buona volontà, un altro appello, come aveva cominciato a fare da Assisi nel 1986: «Quella preghiera voluta da Giovanni Paolo II – ha detto come a fare un bilancio dell’incontro il fondatore della Comunità, Andrea Riccardi – era quasi un messaggio disperato, nel tempo delle guerre di allora. Oggi quello di Assisi è un messaggio attuale: le religioni devono fondare il vivere insieme». È un messaggio non statico ha precisato Riccardi: «Si è sempre approfondito attraverso il suo itinerario, e ancor più qui a Sarajevo, città drammatica, teatro di un duro conflitto in cui le religioni hanno avuto un ruolo centrale insieme a quello etnico». In conferenza stampa, anche nella sua veste di ministro della Cooperazione internazionale, Riccardi ha sottolineato come l’Europa abbia voluto far sentire la sua presenza nella capitale bosniaca. Qui è venuto Mario Monti e il presidente del Consiglio della Ue, Herman Van Rompuy: «Il futuro dei Balcani – ha spiegato – è l’Europa e la Ue, sia dal punto di vista politico ed economico». Molti di questi temi, Riccardi li ha poi ripresi nella piazza gremita di Sarajevo dove si è consumato questo sentito e variopinto rito di pace. Prima la preghiera in vari punti della città, poi un corteo è giunto fino a piazza Dom Armije dove è stato firmato l’appello. Nel suo intervento Riccardi ha ricordato l’11 settembre (proprio ieri correva l’anniversario) che sembrò aprire un nuovo conflitto di religione: «Abbiamo sempre sostenuto – ha detto – che non c’è guerra di religione ma strumentalizzazione delle religioni. Lo abbiamo sostenuto in tempi difficili e in momenti migliori. Le religioni possono essere preveggenti. Possiamo trasmettere a tutti una convinzione: che la guerra è un male, che la violenza mai può essere giustificata in nome di Dio». Ancora l’Europa: «Non abbiamo dimenticato Sarajevo. Il futuro di questa regione riguarda gli europei».Per un saluto è intervenuto il cardinale Roger Etchegaray che ha ricordato la sua missione a Sarajevo negli anni in cui la città moriva sotto le bombe. «Coraggio, Sarajevo! – ha esortato il presidente emerito del Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace – impara di nuovo a vivere insieme, a guardarvi l’un con l’altro senza preconcetti. Come se ciascuno fosse nuovo, fosse appena rinato. Coraggio per rendere questa terra abitabile dagli uomini. Bisogna crederlo ad ogni costo che tutti sono fratelli e ugualmente amati dallo stesso Padre della famiglia umana». Questo incontro di Sarajevo ha voluto rendere omaggio anche a un olocausto dimenticato, quello della popolazione zingara. Ha preso la parola una donna sinta, Rita Prigmore, una bosniaca sopravvissuta ai lager nazisti. «Il mio desiderio – ha detto – è che dopo questi giorni nasca in ognuno una responsabilità: lottare contro ogni razzismo, discriminazione, odio. È una lotta da compiere impegnandoci insieme». Un breve saluto di commiato è infine venuto dal gran mufti della Bosnia, Mustafa Cderic; dal vescovo ortodosso del patriarcato serbo, Irinej; dal presidente della comunità ebraica della Bosnia, Jacob Finci e dal cardinale Vinko Puljic, arcovescovo di Sarajevo.Assisi continua. L’anno prossimo a Roma. Lo ha annunciato il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo. Sant’Egidio parlerà da casa sua.