Un’ora per dire grazie al Papa e guardare avanti. Si potrebbe definire "a trazione anteriore" la visita che domenica mattina Raúl Castro ha fatto a Francesco. Nel senso che quei cinquanta minuti di colloquio, ai quali vanno aggiunti gli altri dieci per lo scambio dei doni, hanno aperto una nuova porta sul futuro, dopo il portone spalancato lo scorso anno e culminato nell’annuncio della ripresa del dialogo tra Usa e Cuba grazie alla mediazione del Papa. La visita di domenica guarda al futuro almeno in tre sensi. Innanzitutto sul piano dei rapporti bilaterali dato che il Pontefice si recherà in visita a L’Avana.
La Conferenza episcopale cubana ha comunicato che il viaggio si farà dal 19 al 22 settembre e Francesco toccherà la capitale, Holguin, il Santuario della Madonna del Cobre e Santiago di Cuba, per poi proseguire alla volta degli Usa. Quindi a livello del progressivo reinserimento di Cuba nella famiglia delle nazioni. Così l’auspicio di Giovanni Paolo II nel 1998, durante la prima storica visita nell’isola («Che Cuba si apra al mondo e che il mondo si apra a Cuba»), anche grazie a Francesco e ai ritrovati rapporti con gli Usa, può finalmente realizzarsi. Infine, e non meno significativo, è il piano strettamente personale relativo alle scelte future del presidente cubano. Le parole pronunciate da Castro alla fine della visita hanno fatto immediatamente il giro del mondo (il solo
Granma, organo ufficiale del Partito comunista cubano, per ora ha evitato di farlo sapere ai cubani). «Io leggo tutti i discorsi del Papa e ho detto a Renzi (incontrato dopo il Pontefice,
ndr) che se continua a parlare così, io ricomincerò a pregare e tornerò alla Chiesa cattolica». «Lo dico sul serio», ha poi aggiunto, pur sottolineando di essere «comunista», ma ricordando di aver studiato dai gesuiti.Con il Papa gesuita, dunque, il fratello del
lider maximo Fidel deve essersi sentito particolarmente a suo agio. E del resto lo si evince anche dal tono del comunicato ufficiale diffuso domenica da padre Federico Lombardi e che parla di un «incontro molto cordiale». Il direttore della Sala Stampa vaticana ha sottolineato che «il Presidente ha voluto ringraziare il Santo Padre per il ruolo attivo da lui svolto in favore del miglioramento delle relazioni fra Cuba e gli Stati Uniti d’America; inoltre ha presentato al Papa i sentimenti del popolo cubano nell’attesa e preparazione della sua prossima visita nell’isola nel mese di settembre». In pratica i due principali motivi che avevano spinto Castro a chiedere l’udienza.Anche il resto dell’incontro, svoltosi per la parte privata nello studio papale dell’Aula "Paolo VI" e per la parte aperta alle rispettive delegazioni nella vicina auletta, si è svolto nel medesimo clima. Insieme a Castro erano, tra gli altri il vicepresidente del Consiglio dei ministri, il ministro degli Esteri e l’ambasciatore presso la Santa Sede. A ricevere il numero uno cubano, insieme con Francesco, erano stati invece il prefetto della Casa pontificia, Georg Gänswein, il sostituto, Angelo Becciu (in passato nunzio a Cuba) e il segretario per i rapporti con gli Stati, Paul Richard Gallagher. Al momento dello scambio dei doni il presidente ha offerto al Papa una medaglia della Cattedrale dell’Avana e un quadro che rappresenta una grande croce composta di relitti di barconi, davanti alla quale vi è un migrante in preghiera (l’autore, il cubano Kcho, che era presente, ha spiegato al Papa di essere stato ispirato dal suo grande impegno a favore dei profughi e dal viaggio a Lampedusa). Francesco ha ricambiato con una copia della
Evangelii gaudium e un medaglione che rappresenta San Martino in atto di coprire il povero con il suo mantello. Un dono che intende sottolineare la solidarietà e la promozione della dignità umana. Temi sui quali, in fondo, si gioca il futuro. E non solo di Cuba.