La Cena, che è il luogo della quotidiana concretezza e della convivialità. E la Croce, che è lo spazio – anzi, il "varco" – attraverso il quale l’uomo fa esperienza del dono di Sé per noi, da parte di Dio, sino al sacrificio. Sono i due elementi attorno ai quali si sviluppa la relazione che monsignor Piero Coda terrà oggi pomeriggio alle 15 presso l’Auditorium Conciliazione di Roma, nella sessione dell’evento "Gesù nostro contemporaneo" presieduta da Paola Bignardi e alla quale interverrà anche il filosofo Jean-Luc Marion. Ppreside dell’Istituto universitario Sophia di Loppiano (Firenze), monsignor Coda è da tempo impegnato in una serrata riflessione teologica sull’attualità della fede nel contesto dei nostri anni. «Invocare la contemporaneità di Cristo – sottolinea –- non significa appellarsi a un’idea astratta, né tanto meno esprimere un’aspirazione vaga. È, al contrario, un fatto tangibile: qualcosa che si vede, si tocca, si mangia...»
Come la cena, appunto.«Come nella Cena, esattamente. Il riferimento all’Eucarestia è irrinunciabile, perché non è possibile fare i conti con il cristianesimo se non ci si impatta con Gesù che si offre a noi oggi, qui, liberamente, nella ferialità di gesti che, già nel racconto evangelico, appartengono alla vicenda di tutti i giorni. Il fatto originario dell’identità cristiana nasce nel movimento per cui Gesù si dà a noi e, così, ci invita ad accoglierlo, a cibarci di Lui. È il "Prendete e mangiate" a costituirci discepoli, facendoci entrare nello stesso rapporto di dedizione che lega Cristo al Padre e, insieme, noi a Cristo. Il Pane spezzato nell’Eucarestia sta all’origine di ogni speranza, è la realtà che ci permette di essere solidali gli uni verso gli altri».
Ma non le sembra che il legame tra solidarietà ed Eucarestia sia ormai poco avvertito?«Capisco l’obiezione: veniamo da un lungo periodo in cui una pur giusta sottolineatura dell’essenzialità dell’impegno sociale può persino aver messo in ombra le motivazioni profonde della fede. In questa fase della vita della Chiesa, però, mi pare che si stia operando una riscoperta di questo nesso originario. Si fa sempre più acuta la consapevolezza di come la Cena cristiana sia luogo e segno del dono sempre nuovo della riconciliazione. La pratica della solidarietà esprime infatti il disegno di salvezza per cui il Figlio di Dio si fa carico del peccato e così ci permette di fissare con lucidità lo sguardo nel mistero del male e delle sue conseguenze per illuminarle e vincerle nella luce e nella forza della risurrezione».
Ed è qui che si passa dalla Cena alla Croce?«Sì, ed è il passaggio decisivo, anche dal punto di vista culturale. La rimozione della sofferenza, che coincide da ultimo con la rimozione della morte, è la grande tentazione del nostro tempo. Se si soccombe a questa mentalità, l’esistenza umana rischia di essere relegata in una dimensione di finitezza priva di speranza e di riscatto. Attraverso il varco aperto dalla Croce, però, Dio si cala anche oggi nella nostra storia, dando luogo all’attestazione radicale del suo amore inesauribile. Anche nella temperie attuale, la centralità della Croce (anzi, del Crocifisso) sta a dirci che Gesù porta su di sé il peso dell’amore di Dio per noi, invitandoci a donarci ai fratelli nella quotidianità sulla sua misura senza misura».
Eppure oggi c’è chi ostenta indifferenza davanti a Cristo...«La cultura vigente ha una vischiosità magmatica, assorbe tutto e tutto tende a svuotare di significato. Neanche Gesù è immune da questo pericolo, ammettiamolo: oggi perfino la fede nel Figlio di Dio fatto carne è minacciata da un’omologazione distruttiva della sua novità e verità che non ha precedenti nella storia. Proprio per questo, però, la Chiesa ha davanti a sé un’opportunità straordinaria: quella di annunciare nuovamente il Vangelo alle giovani generazioni con voce alta, forte, argentina. Il nostro mondo ha nostalgia di Gesù, sta a noi farglielo riscoprire con la testimonianza della vita e dell’annuncio».