giovedì 20 luglio 2023
Solo ad aprile più 32 per cento rispetto allo scorso anno Superati anche i livelli pre-Covid, con effetti positivi sul Pil. Allarme dei sindaci: meno residenti e sempre più b&b
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Sold out. Il grande vuoto del lockdown chi se lo ricorda più. Gli europei erano già tornati in massa l’anno scorso poi sono arrivati i rinforzi americani e asiatici. L’Italia del turismo festeggia una primavera da “vado al massimo” e assapora un’estate da tutto esaurito. Nonostante il balzo, da esaurimento, dei prezzi. Nemmeno la superinflazione sembra frenare la grande invasione dei vacanzieri che investe lo Stivale. Ad aprile la spesa dei viaggiatori stranieri in Italia, informa la Banca d’Italia, è salita a 3,8 miliardi, +32% rispetto a un anno prima. Il dato supera di circa l’8% quello dello stesso periodo del 2019, l’anno di maggior picco turistico, ultimo prima del Covid. Tutti i dati provvisori del 2023 sembrano confermare la definitiva ripresa del settore: a gennaio e febbraio le presenze complessive sono salite del 45,5% sullo stesso bimestre del 2022 (+ 70,5% di stranieri e un + 28,8 di italiani) e del 4,8% sul 2019. E nei mesi fino ad aprile, secondo l’Istat, dall’estero è arrivato un milione di persone in più ogni mese rispetto a un anno fa, con un +43% dei pernottamenti. Per luglio si stima un +7% sul già dinamico 22. Gli alberghi sono pieni, treni e aerei pure, i taxi non si trovano. Nelle strade dei centri storici si parla straniero ed è sempre l’ora di punta. In certe località, come le Cinque Terre, si parla di numero chiuso per contenere lo tsunami umano.
Il boom spinge l’economia. Nel primo trimestre il Pil italiano è salito dell’1,9% su base tendenziale. Ma mentre industria e agricoltura segnavano il passo il macrosettore turismo, commercio, trasporto e ristorazione ha messo a segno + 3,8% per cento. Del resto le attività strettamente riconducibili al turismo valgono oltre il 5% del Pil (fonte Banca d’Italia), gli effetti indiretti concorrono a determinare quasi il 13% dell’economia nazionale. E il numero di viaggiatori e della spesa turistica sono previsti in ulteriore forte crescita nei prossimi anni.
In questo contesto chi si prova a mettere in discussione il cosiddetto overtourism, l’iperturismo, rischia di passare per disertore. Ma è indubbio che i sempre più grandi numeri del settore producano anche problemi e criticità. Da un lato l’attività turistica ha un forte impatto sull’ambiente naturale, dall’altro ha conseguenze importanti sulla vita degli altri, quelli che non vivono di turismo, e di tutti. Come nota la stessa Bankitalia in un paper, il settore «in prevalenza a bassa produttività e contenuta qualità di capitale umano impiegato, potrebbe spiazzare i settori più produttivi, attraendo risorse da comparti manifatturieri o dei servizi a più alta tecnologia. Inoltre potrebbero esserci riflessi inflattivi sul mercato immobiliare», mentre «un elevato afflusso di visitatori dall’esterno si può tradurre in fenomeni di congestione e degrado, rendendo difficile la stessa gestione e tutela dei beni culturali e del territorio».
I sindaci delle città più visitate segnalano in particolare gli effetti economici e sociali legati alla massiccia trasformazione di abitazioni private in strutture ricettive per soggiorni brevi. Un fenomeno di cui hanno beneficiato una vasta area di piccoli e medi rentier che hanno messo a reddito le loro seconde o terze case con pochi rischi e norme semplificate anche dal punto di vista fiscale (cedolare secca al 22% e nessuna necessità di aprire un’impresa fino a 4 appartamenti). Un aiuto soprattutto per la classe media e per i pluripropietari. Il fenomeno sarebbe tuttora in corso se si considera che il rincaro dei mutui ha prodotto una frenata degli acquisti di prime case ma non delle seconde, destinate all’uso diretto ma anche all’investimento. Secondo una ricerca di Federalberghi nei primi 500 comuni italiani per flusso turistico ci sono 267mila unità abitative disponibili on line. Sarebbero 30mila solo a Roma, a Venezia e Firenze 12mila, a Napoli 7-8mila. Ma anche in realtà meno grandi i numeri sono notevoli. A Verona ci sono 66 alberghi e 18mila posti letto nelle case vacanza. A Bergamo nel 2006 erano appena 19 le strutture extralberghiere, a dicembre 2022 ne risultavano 790 in buona parte arroccate nella città alta. «Stiamo segando il tronco su cui siamo seduti – è l’allarme del vicepresidente di Legambiente Sebastiano Venneri - Le nostre città sono belle anche perché abitate, altrimenti diventano come quinte teatrali di cartone».
L’anno scorso è stata introdotta una norma che permette alla sola città di Venezia di porre dei limiti, anche temporanei e per singoli quartieri, alle locazioni per fini turistici, con l’obiettivo di «favorire l’incremento dell’offerta di alloggi in locazione per uso residenziale di lunga durata». La Venezia storica è scesa sotto i 50mila abitanti ufficiali (dai 100mila di fine anni Settanta) ma si ritiene che quasi la metà siano fittizi e tra i canali è un problema trovare anche un medico di famiglia. La misura è stata sollecitata anche da altre città ma invano. Firenze (vedi intervista in pagina) prova a fare da sola. «È un po' surreale che i comuni non possano decidere uno stop anche temporaneo all'extra-alberghiero, nel nostro caso per il Giubileo», ha commentato nei giorni scorsi il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Da Bergamo anche Giorgio Gori è intervenuto più volte chiedendo una norma nazionale che dia potere regolatorio alle città.
Al ministero del Turismo è aperto un tavolo di confronto in vista di una nuova regolazione degli affitti brevi. La ministra Daniela Santanché ha proposto un intervento soft, un vincolo di almeno due notti di permanenza per gli affitti brevi, proposta che i sindaci giudicano insufficiente e gli albergatori «una presa in giro». Federalberghi chiede una normativa più rigida e maggiori controlli e in una ricerca con Sociometrica sottolinea che le strutture non ufficiali rappresentano ormai quasi il 25% dell’offerta complessiva ma solo il 12% della spesa turistica e dell’occupazione. A loro volta i sindacati degli inquilini segnalano come nelle città più visitate gli affitti tradizionali siano sempre di meno e sempre più costosi.
La grande regia mondiale degli affitti brevi sta nelle mani di poche società di intermediazione on line. La più nota e diffusa è la californiana Airbnb, piattaforma che mette a contatto domanda e offerta di posti letto in moltissimi Paesi. Nata nel 2007 attualmente ha una capitalizzazione intorno ai 93 miliardi di dollari. Ben più della prima catena alberghiera mondiale Marriot Hotel (59 miliardi) che pure possiede grandi alberghi ai quattro angoli della terra. Mentre Airbnb non possiede le case che affitta ma un enorme potere di mercato, costi minimi e robuste commissioni a carico di proprietari e affittuari degli alloggi. Con circa 340 mila annunci, l’Italia rappresenta il terzo mercato per Airbnb dopo Stati Uniti e Francia. La sua entrata nel mercato italiano «si è inserita nel contesto di profonda ricomposizione che ha caratterizzato l’offerta ricettiva negli ultimi 15 anni». Il numero degli alberghi si è mantenuto pressoché costante, con un forte incremento di quelli di maggiore qualità a scapito di quelli economici. Mentre il numero delle sistemazioni non alberghiere ha preso il volo: più 800%.
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