Migranti riportati in nord Africa - Reuters
Critichiamo la Tunisia sui diritti civili, ma occorre cooperare. Quarantotto ore dopo il vertice di Tunisi tra Ursula Von der Leyen, il premier olandese Mark Rutte, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il presidente tunisino Kais Saied, la realpolitik del governo italiano e della commissione di Bruxelles si riassume efficacemente nella frase pronunciata dal portavoce per gli Affari Esteri Peter Stano. Realpolitik indigesta per i paesi del Nord Europa, critici per le scelte sempre più autoritarie e repressive verso opposizione e media del controverso professore di diritto eletto presidente nel 2019.
Ma al momento senza alternative. Se questo partenariato allargato s’ha da fare è perché la partita tra Ue, Italia e Tunisia da domenica scorsa si gioca su più fronti, ovvero economia, energia e migranti. Le misure sono contenute nel pacchetto per stilare il quale Bruxelles e Tunisi hanno dato incarico al commissario europeo per l'Allargamento Oliver Varheliy e al ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar, L’obiettivo è arrivare a un memorandum d'intesa che dovrebbe essere sottoscritto da Tunisia e Ue prima della fine di giugno al Consiglio europeo. Le misure, descritte ieri dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, riguardano quattro aree, vale a dire il rafforzamento dei legami economici e commerciali, l'energia - dalle sabbie del deserto tunisino passa il gasdotto algerino, ma ora si punta soprattutto sulle rinnovabili con la realizzazione dell’elettrodotto sottomarino di Terna che arriverà a Mazara del Vallo, dal costo di 900 milioni, due terzi dei quali finanziati da Bruxelles e Roma - le migrazioni e gli scambi turistici e culturali, con l’allargamento dell’Erasmus agli universitari tunisini. L'Ue metterà inoltre a disposizione della Tunisia 100 milioni di euro «per la gestione delle frontiere, la ricerca e il soccorso, la lotta ai trafficanti e il rimpatrio ».
La strada per l’intesa non è semplice, ma tutto è legato. Saied deve infatti ottenere lo sblocco del prestito di 1,9 miliardi del Fondo monetario internazionale senza soddisfare le condizioni dettate dall’organismo di Washington, da lui definite «diktat » perché non gli verrebbero perdonate dai tunisini, la maggioranza dei quali tuttora lo sostiene. L’Fmi chiede tagli ai sussidi e la privatizzazione delle aziende pubbliche che, ad esempio si occupano di approvvigionare la grande distribuzione e la cui inefficienza causa, con l’inflazione e la siccità, la penuria di generi alimentari nei supermercati e i rincari. Senza il prestito, la Tunisia, in grave crisi economica e appena declassata dall’agenzia di rating internazionale Fitch, rischia il collasso. Ma Italia e Ue non possono permetterlo per non dover affrontare una bomba migratoria e veder fallire un partner vicino e strategico. L’Italia ha superato i francesi ed è diventata prima partner commerciale del paese maghrebino.
Quindi soprattutto la diplomazia italiana sta da mesi premendo per sbloccare i fondi. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani è in missione a Washington dove ieri ha incontrato il segretario di Stato americano Blinken e poi vedrà la direttrice del Fondo monetario internazionale Georgieva. Agli Usa Tajani ha ribadito la priorità di stabilizzare il Mediterraneo chiedendo pragmatismo e proponendo di stanziare una prima tranche di finanziamenti dell'Fmi legando le successive alla realizzazione delle riforme. Blinken condivide le preoccupazioni e auspica da Tunisi un piano “rivisitato”. Quanto alla questione migratoria, la Tunisia è sì diventata nel 2023 un paese chiave, ma non per le partenze dei tunisini, dato che in Italia ne sono sbarcati quest’anno solo 3.600 su un totale di 53.600. Nei primi mesi dell’anno le partenze dalle coste del paese nordafricano avevano superato quelle dalla Libia anche a seguito delle dichiarazioni xenofobe del presidente tunisino che hanno scatenato la caccia alle migliaia di subsahariani soprattutto occidentali (ivoriani, guineani, maliani) che lavorano e studiano da anni nel paese, mettendoli in fuga. Altri, tra cui siriani e sudanesi, arrivano oltrepassando invece i porosi confini sahariani con Algeria e Libia.
Partono quasi tutti dalle coste di Sfax, rischiando la vita sui barchini costruiti dai pescatori impoveriti dalla crisi economica, come dimostrano le recenti immagini dei cadaveri ripescati e abbandonati nell’obitorio della città centro orientale. La Guardia nazionale marittima parla di un aumento di partenze del 300% rispetto al 2022 dalla regione. Ciò nonostante per l’Italia il paese resta sicuro e, nella proposta dei ministri degli interni europei al vertice di settimana scorsa in Lussemburgo, è uno dei paesi terzi destinatari, in cambio di fondi, dei migranti espulsi dall’Ue. Saied, durante il vertice con Italia e Ue, ha respinto l’ipotesi dichiarando che «la soluzione di ospitare in Tunisia migranti in cambio di somme di denaro è disumana e inaccettabile, così come le soluzioni di sicurezza si sono dimostrate inadeguate ». Il nodo migranti resta. Saied non vuole fare la guardia di frontiera dell’Ue, che, però. è pronta a stanziare 900 milioni di aiuti.