L’ultimo poche ore fa: l’incendio doloso della "Cleprin", azienda etica che produce detersivo ecocompatibile (presente nel "Pacco alla camorra") il cui titolare, Antonio Picascia, qualche anno fa aveva denunciato un tentativo di estorsione. E che l’ha detto chiaro: «Non saranno questi scarafaggi a farmi andar via da Sessa Aurunca. Cercherò di riaprire l’azienda il prima possibile, anche per i miei trenta lavoratori».
Rincara Maria Patrizia Stasi, presidente di Confcooperative Campania , denunciando «la solitudine di chi agisce per la legalità», tuona.
Scende in campo anche il "Forum nazionale agricoltura sociale", con un appello «a tutte le istituzioni affinché la Nco e la Cleprin non vengano lasciate sole in questa sfida alla camorra e per la giustizia sociale».
La strategia è davvero evidente. Prima, alcune settime fa, è stato sfondato il muro di cinta in tufo della fattoria "Fuori di zucca" (dove si coltivano e vendono prodotti biologici, monitorati e certificati e che è targata sempre Nco) ad Aversa. Cinque giorni fa, poi, c’è stato un altro incendio doloso, quello di un pescheto a Teano, ancora gestito dalla Nco e realizzato su un bene confiscato proprio alla camorra.
I camorristi di Casal di Principe sono tutti al fresco e gestiscono ben poco, perché il Comune da un paio d’anni ha reagito seccamente e perché l’attenzione mediatica sulla stessa Casale resta assai alta. Al contrario, in altri comuni il cancro camorrista, sebbene si sia spesso infiltrato in ogni istituzione, adesso ha necessità di mostrare i muscoli.
(Servizio fotografico di Mauro Pagnano)