sabato 22 luglio 2023
All'indomani della Relazione sulle droghe gli esperti e il mondo dei servizi lanciano appelli alla politica: "Il problema da risolvere è l'abuso di sostanze lecite, alcol in primis"
Strategie e sistemi di cura da rivedere «Le dipendenze? Da sostanze legali»

Ansa

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È un drammatico bagno di realtà, la fotografia presentata al Parlamento dalla Relazione del Dipartimento politiche antidroga. Di abuso di sostanze tra i giovanissimi occorre tornare a parlare con forza se si vuole capire cosa sta succedendo nel nostro Paese ed è questo l’appello che in queste ore sollevano gli esperti, il mondo dei servizi pubblici e del privato sociale, le comunità. Con due avvertenze fondamentali: prima, che i dati devono essere il punto di partenza per una rivoluzione nelle strategie di prevenzione capace di stare al passo coi tempi, allargando lo sguardo oltre i confini italiani, alla situazione globale del mercato e dei consumi; seconda, che il sistema di cure così come è strutturato oggi ha le armi spuntate, e non basta più ad arginare un’emergenza dilagante. Immaginare risposte è complicato, ma urgente: «La Relazione ci racconta di una situazione grave, anche se va sottolineato che guardando all’andamento storico dei dati, e in particolare alla situazione pre Covid, l’aumento delle percentuali di consumo non è così vertiginoso » spiega Riccardo Gatti, tra i massimi esperti di dipendenze nel Paese, medico, specialista in psichiatria, da anni a capo del Dipartimento dedicato della Asst Santi Paolo e Carlo di Milano e coordinatore del Tavolo tecnico regionale della Lombardia istituito proprio nell’area dipendenze.

«In buona sostanza, dopo la “pausa” del Covid, un periodo in cui l’azzeramento forzato delle relazioni sociali ha portato a una leggera flessione nei consumi di sostanze illecite, siamo tornati al punto di partenza. Ciò che forse – rileva – nell’economia della Relazione poteva essere analizzato meglio, visto che racconta di una dinamica dei consumi legata più a come è strutturata la vita delle persone nei momenti di relazione». Ci si droga, insomma, quando si sta insieme, o peggio perché si sta insieme, «ed è evidente che questa constatazione deve portarci a riflettere su interventi diversi da quelli solamente repressivi, o solamente terapeutici ».

Molto preoccupanti invece, secondo l’esperto, i dati relativi all’abuso di alcolici e di psicofarmaci, col 78% dei ragazzi che bevono (e uno su due, tra i 18 e i 24 anni, che si ubriaca) e l’11% che assume medicinali: «Qui parliamo di sostanze lecite, ed è evidente anche in questo caso come le strategie di intervento debbano immaginare altre strade ». Secondo Gatti manca una visione: «Quando parliamo di droga nel nostro Paese continuiamo ad essere focalizzati sul binomio spaccio-consumo, come se il problema fosse solo di ordine pubblico. Oppure, peggio ancora, ci fossilizziamo nel dibattito sulla legalizzazione o meno della cannabis, che è solo una delle tante sostanze e con evidenza uno dei tanti, enormi problemi da risolvere ». E mentre la politica si incarta, ecco il mercato galoppare, con le organizzazioni criminali libere di mettere in campo le loro strategie sempre nuove, «affinate attraverso gli algoritmi e la rete, che oggi addensa gruppi sociali e li muove verso tendenze di consumo ben pianificate».

Così nel Nord America impazzano i fentanili (mietendo migliaia di vittime), la produzione dell’oppio da papavero in Afghanistan sta diminuendo (col risultato previsto nel giro di un anno che proprio i fentanili, cioè gli oppiacei sintetici, travolgano anche in Europa), il poco costoso crack invade le periferie delle città italiane e cresce a vista d’occhio la diffusione delle cosiddette sostanze psichedeliche (come la chetamina) «e noi siamo immobili, incapaci di capire quello che potrebbe accadere e di progettare un piano di azione e di prevenzione coerente con queste previsioni ». Servirebbe un tavolo, «una commissione di esperti indipendenti capaci di analizzare la situazione», sul modello del Comitato tecnico-scientifico che proprio in era Covid servì per aiutare il governo a prendere le decisioni giuste per fermare la pandemia. Ma della pandemia, come delle merrgenze in generale, «nel nostro Paese ci accorgiamo solo quando siamo già dentro ed è troppo tardi per intervenire».

Di interventi a cose fatte, quando cioè la droga ha già scavato un abisso nella vita dei ragazzi, si occupa invece Mauro Cibin, già direttore del Serd di Dolo-Mirano, psichiatra, coordinatore scientifico del Centro Soranzo, una comunità terapeutica a pochi chilometri da Venezia: «La situazione fotografata dalla Relazione è l’esito di un mix terribile tra una situazione di vuoto esistenziale ed educativo e un mercato sempre più diffuso e a basso costo di sostanze. In mezzo, l’abbassamento della guardia, il fatto che per i ragazzi drogarsi e bere siano cose del tutto normali». È quello che raccontano, quando decidono di intraprendere un percorso di cura, ed è anche il primo ostacolo a livello terapeutico per un sistema strutturato su interventi di tipo medico per lo più: «I ragazzi sempre più spesso, e tanto più sono giovani tanto più il problema si acuisce, non hanno bisogno solo di una cura e solo per un problema. L’abuso di sostanze di mescola al disturbo psichiatrico, a quello dell’alimentazione, al disagio sociale, al malessere, all’incapacità di dare un senso alla propria esistenza.

Ciò richiede interventi integrati, una presa in carico globale della persona, quando il sistema dei servizi è invece settoriale e strutturato su specificità e singoli problemi». Risultato, ai percorsi di cura si rinuncia, «come evidenzia l’abisso documentato dai numeri della stessa Relazione, che a fronte di milioni di consumatori parla di poco più di 127mila persone entrate nel circuito dei servizi, la maggior parte dei quali eroinomani». Quando l’eroina è la sostanza meno consumata tra i ragazzi. È evidente allora «che c’è qualcosa che non funziona – continua Cibin –, i dati lo mettono sotto gli occhi di tutti, eppure sembra non accorgersene nessuno». Il virus delle dipendenze non solo resta senza vaccino, ma anche senza cure.

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