martedì 18 luglio 2023
Secondo il promotore di giustizia l'accusa non si è mossa seguendo un teorema. Gli imputati sarebbero andati oltre le leggi della S. Sede. La difesa di Becciu: smentite invece tutte le contestazioni
Un momento della requisitoria del promotore di giustizia Alessandro Diddi

Un momento della requisitoria del promotore di giustizia Alessandro Diddi - Vatican News

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E' iniziata oggi, martedì 18 luglio, la requisitoria del promotore di giustizia, Alessandro Diddi, al processo in corso in Vaticano per la gestione dei fondi che portarono anche all'acquisto di un palazzo a Londra. "Sono convinto - ha detto il magistrato vaticano, che in Italia svolge l'attività di avvocato penalista - che l'impianto accusatorio del processo, dal nostro punto di vista, abbia tenuto. Sarebbe stata una grossa sconfitta se gli episodi non fossero stati ricostruiti correttamente. Ma sotto il profilo fattuale, anche grazie alle consulenze tecniche, il processo ha confermato lo svolgimento dei fatti". "Il processo, sul piano fattuale, ci ha dato ragione - ha aggiunto Diddi -, e questa è la prova che non ci siamo mossi seguendo un teorema", ha aggiunto. In tutto l'accusa ha a disposizione sei udienze: il pg Diddi formulerà le sue richieste mercoledì 26.
Parlando del processo con 10 imputati nato dall'acquisto del Palazzo di Londra, il rappresentante dell'accusa ha voluto "sgombrare il campo da equivoci o da critiche che ci sono state mosse sull'aver seguito piste precostituite, e non l'emergenza dei fatti". E ricordando le due "piccole denunce" da cui tutto è partito - dell'Ufficio del revisore generale (nove pagine) e dello Ior (due pagine) - "non immaginavamo allora dove saremmo arrivati". Diddi ha voluto anche rigettare la "rappresentazione mediatica secondo cui questo sarebbe un processo alla Segreteria di Stato: non è mai stato questo l'intendimento dell'Ufficio del promotore di giustizia, anche se la perquisizione iniziale è stata qualcosa di storico, in quello che era una sorta di giardino proibito". È stato piuttosto un processo a delle persone, a dei funzionari, o settori, "che non hanno capito quel è la missione della Chiesa, a cui avrebbero dovuto attenersi anche nello svolgimento del servizio".
Tra i funzionari coinvolti, all'inizio c'era anche il capo dell'Ufficio amministrativo, mons. Alberto Perlasca, verso cui è stata però chiesta l'archiviazione, "decisione molto criticata", e sulla quale Diddi si è rimesso a un'eventuale diversa valutazione del Tribunale. Comunque Perlasca, ha voluto sottolineare, "non è né un super-testimone né un super-pentito del processo": tutt'al più "una persona fragile", che nel momento delle testimonianze dell'amica Genoveffa Ciferri e di Francesca Chaouqui è apparso anche "manipolato o manipolabile". In ogni caso, anche su queste testimonianze "c'è stato un approfondimento" e "non hanno interferito sulla ricostruzione die fatti, che poggia su elementi super-provati".
Soffermandosi poi sul card. Angelo Becciu, "per noi fin dall'inizio non è mai stato un obiettivo dell'indagine - ha detto Diddi -. Anzi, ha cercato di intromettersi lui nelle indagini, cosa che abbiamo scoperto dalle chat di Perlasca: cercava d'intromettersi molto pesantemente sia sullo svolgimento delle indagini sia con altri personaggi per attivare campagne di stampa contro l'inchiesta". In ogni caso, tutti i reati in ballo nel processo - dal peculato all'abuso d'ufficio, dalla truffa all'estorsione, dal riciclaggio all'appropriazione indebita fino alla corruzione - "sono contro la pubblica amministrazione", in cui "i capitali sono stati gestiti in maniera assai poco oculata, per usare un eufemismo", e in cui c'è chi ha tratto cospicui "vantaggi", anche per "attività proprie".
I fondi utilizzati, però - è emerso nel contraddittorio - non erano solo dell'Obolo di San Pietro, troppo esigui per i forti investimenti come quello del Palazzo di Londra, ma anche dalla somma annuale che lo Ior versa dal 2007 alla Segreteria di Stato (in tutto 700 milioni di euro in 16 anni). E nella sua premessa odierna, la contestazione principale di Diddi è stata che "le norme del Codice canonico", come quelle della costituzione apostolica Pastor Bonus sulla Curia romana, "non consentivano di svolgere le operazioni" finite al centro del processo. C'è stata un vero "corto circuito del sistema" quando lo Ior ha negato il finanziamento di 150 milioni chiesto dalla Segreteria di Stato, e il dg Gianfranco Mammì disse "noi non possiamo svolgere queste operazioni". Insomma, secondo le norme canoniche la gestione dei beni temporali della Chiesa deve avvenire "per i fini che le sono propri" - nel caso il mantenimento della Sede apostolica e le opere di carità -, e non per "operazioni speculative", anzi "altamente speculative", come hanno ammesso gli stessi consulenti della Terza Loggia. Su questo c'è stata una "grave violazione". Né si può dire, come ha fatto Becciu, che "si è sempre fatto così", perché mai prima, ha ricordato Diddi, la Chiesa ha pensato di finanziare estrazioni petrolifere o investito, come per il Palazzo di Londra, "in Paesi a scarsa trasparenza finanziaria, come Jersey o Guernsey".
Secondo Diddi "la Segreteria di Stato si sentiva 'legibus soluta'". E così il pg ha ricordato le vane richieste nel 2015 del prefetto per l'Economia, card. George Pell, e nel 2018 del revisore generale di ricevere le carte sui movimenti finanziari e i bilanci.

Completamente diversa la valutazione della difesa del cardinale Angelo Becciu. 'Il dibattimento ha ampiamente dimostrato l'assoluta innocenza del Cardinale, che ha sempre agito in totale buona fede e nell'esclusivo interesse della Santa Sede''. Lo hanno dichiarato gli avvocati Maria Concetta Marzo e Fabio Viglione, legali del cardinale tra i dieci imputati nell'ambito del processo davanti al Tribunale Vaticano per lo scandalo finanziario legato alla compravendita del Palazzo londinese di Sloane Avenue. ''Le evidenze emerse sono ampiamente sufficienti a smentire radicalmente tutte le accuse e le illazioni che per troppo tempo hanno inquinato la ricostruzione delle diverse vicende. La requisitoria odierna - sottolinea la difesa riferendosi alla requisitoria del Promotore di giustizia Diddi - ha tentato di colmare il vuoto assoluto di prove a carico del cardinale esaltando aspetti non pertinenti alle imputazioni. Davvero incomprensibile poi quanto affermato a proposito di Mons. Perlasca, che nonostante sia stato il proponente degli investimenti censurati dall'accusa non è stato ritenuto responsabile degli stessi".

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