venerdì 16 marzo 2018
L’armatore di Moby Lines: la mia verità contro chi ci accusa di discriminare
Cosa significa «Navighiamo italiano»
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«Sono un po’ arrabbiato perché gli interessi che ci sono in ballo portano poi alla disinformazione. Se tutto questo serve a far capire la situazione dei marittimi italiani e non solo, ben venga questa piccola burrasca». Vincenzo Onorato, presidente di Moby Lines, è finito nuovamente al centro delle attenzioni dei media perché i passaggi pubblicitari scelti per promuovere il suo brandmettono in risalto l’italianità degli equipaggi e soprattutto le retribuzioni 'italiane' riconosciute ai suoi dipendenti. Cosa che non accade in altre compagnie di navigazione.

È una storia che si ripete, avviata con la 'guerra' delle esenzioni fiscali agli inizi 2016. Periodi di tensioni con Confitarma capitanata da Emanuele Grimaldi, 24 mesi dove la battaglia è sfociata lo scorso gennaio nella nascita di AssArmatori, nuova associazione di armatori del Bel Paese (oltre 600 navi, circa 70mila addetti) che riunisce Messina, Grandi Navi Veloci – che rimanda ad Msc di Gianluigi Aponte – Italia Marittima, Finaval e Fedarlinea.

È un capitano navigato, Onorato, che mette l’uomo al centro forte dai suoi 13 anni di studi negli istituti dei Gesuiti. E che si arrabbia quando sente parlare di navi con bandiera italiana dove invece «sono impiegati massicciamente extracomunitari. Perché non è vero che a noi non piacciono, a noi non va bene che l’extracomunitario venga pagato 800-900 dollari lordi al mese – sottolinea –. Perché il marittimo comunitario che si imbarca ha un contratto italiano, con un rapporto diretto e lo stipendio lo riceve il 27 del mese e un mozzo al primo imbarco si porta a casa 2.100 euro netti».

E cosa accade se il marittimo non è comunitario? Anche qui entriamo nel campo del dumping salariale? «Succede ad esempio con il lavoratore filippino, con quello honduregno e quello cubano, che vanno molto di moda – spiega –. Per assumere personale l’armatore si rivolge ad agenzie esterne, società offshore, quasi tutte in Svizzera. Sono questi i mercanti di schiavi del nuovo millennio, che noi denunciamo. Soggetti che chiedono 900 dollari al mese che altri armatori versano senza però avere idea di quanto realmente sia dato al lavoratore marittimo».

E c’è un altro aspetto: questo marittimo deposita il suo passaporto al capitano e ciò significa che diventa un prigioniero senza diritti perché non si rapporta con l’armatore ma con l’agenzia e se protesta ha finito di lavorare. «Questa è la condizione del marittimo extracomunitario sulle navi battenti bandiera italiana – rimarca Onorato –: una vera e propria schiavitù legalizzata». Che Onorato non accetta: «Su una mia nave nel Baltico, su 260 persone di equipaggio ho un’ottantina di extracomunitari e hanno tutti un contratto italiano senza differenze. Il rischio semmai è un settore in una deregulation totale dal punto di vista del lavoro».

Una situazione sociale «che non mi sembra per niente cristiana» annota, che «crea tensione tra il marinaio che prende 3.500 euro al mese e quello che ne prende 600: così si alimenta odio a tal punto che gli extracomunitari preferiscono stare da soli».

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