giovedì 19 gennaio 2017
Nello scontro sull'auto per le presunte irregolarità delle emissioni servirebbe un arbitro “super partes”, soluzione che la debole maturità politica dell’Europa non riesce a scegliere
La Fiat da difendere e i veleni di Germania-Italia
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Mancavano solo gli ossidi di azoto per avvelenare l’atmosfera tra Germania e Italia. La vicenda delle presunte irregolarità relative alle emissioni di NOx prodotte da alcuni modelli di auto del Gruppo Fiat-Chrysler (parallela ma diversa da quella che coinvolge il marchio negli Stati Uniti), doveva e dovrebbe essere solo di natura tecnica e regolamentare. Si è trasformata invece in una partita che si gioca sul tavolo dei rapporti tra gli Stati e delle difesa dei rispettivi coinvolgimenti nazionali.

Troppo scontata la battuta di chi mette in dubbio gli intessi “italiani” da salvaguardare nel caso di Fca, società che ha base principale in Michigan, sede legale in Olanda e quartier generale finanziario a Londra: un Gruppo industriale che dà lavoro a 70mila persone nel nostro Paese non potrà mai essere considerato straniero. Una ragione più che sufficiente questa per giustificare i toni decisi con cui i vertici politici italiani hanno reagito alle accuse del Ministero dei Trasporti tedesco su una materia (quella delle omologazione delle vetture) e su certificazioni – lo dice espressamente la normativa Ue – di pertinenza dei singoli Stati e che, per reciprocità, devono essere accettate da tutti i Paesi della Comunità europea.

Sembra dunque dovuta, più che “patriottica” o strumentale, la presa di posizione di Gentiloni nel corso dell’incontro di ieri con la cancelliera tedesca Merkel, durante il quale il presidente del Consiglio ha sottolineato che si tratta «di questioni regolate dalle leggi e dalle singole autorità nazionali. Noi decidiamo per quel che ci riguarda e siamo convinti che i tedeschi facciano altrettanto».

Formalmente, il fatto che le verifiche effettuate in Italia sui modelli indagati abbiano stabilito l’assenza di elementi illegali, come più volte ribadito dal ministro Delrio, suggerisce che fino a prova contraria Fca non merita l’accanimento cui è sottoposta. Più in generale, lo si sa da sempre, i test sulle emissioni nocive delle auto sono condotti seguendo protocolli del tutto inadeguati alla realtà, ma l’accusa di dolo industriale che ripetutamente arriva da Berlino pare, allo stato dei fatti, spregiudicata e ingiustificata. Specie su un tema delicato, che è molto complesso e impatta pesantemente sulla salute delle gente.

Una soluzione in realtà ci sarebbe: affidare i controlli a un’autorità sovranazionale che superi gli interessi dei singoli Paesi e la loro legittima necessità di tutelare economia e posti di lavoro locali. Salto in avanti questo però che la debole maturità politica dell’Europa difficilmente riuscirà a fare. Risulta invece complottismo da fantapolitica immaginare che esista un interesse preciso dei tedeschi di affossare le sorti e la quota di mercato di Fca che in Germania è ancora molto bassa, inferiore al 3% nel 2016, malgrado il forte rialzo fatto segnare da Alfa Romeo (+53,3%) spinto dalle vendite della nuova Giulia, e dal marchio Fiat (+9,4%), sostenuto dal successo della nuova Tipo.

Detto ciò, dal punto di vista sostanziale è difficile non vedere in questa disputa una volontà da parte tedesca di individuare una responsabilità collettiva, o quantomeno terza, di altri costruttori per disperdere le responsabilità di Volkswagen dopo lo scandalo dieselgate. Ma l’alibi del “mal comune mezzo gaudio” può reggere solo con prove precise, senza le quali si rischia di allontanarsi dalla ricerca della verità.

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