«Abbiamo appena approvato un ddl costituzionale che abolisce le Province, cancellandole dagli articoli della Costituzione dove sono menzionate...». È il presidente del Consiglio Enrico Letta, con volto soddisfatto, a confermare ai cronisti nella sala stampa di Palazzo Chigi il varo del provvedimento, in Cdm, che potrebbe "sbianchettare" le 110 Province italiane. Dopo il no della Consulta, che ha bocciato la scelta dello strumento del decreto adottato dal governo Monti, la via della riforma costituzionale è sembrata al suo successore l’unica percorribile: «Era necessario fermarsi e ripartire da capo», chiarisce Letta.Il testo è composto di soli tre articoli. Il primo recita asciutto: «Sono abolite le Province». Se, come il governo spera, diverrà legge, il riferimento (e la connessa rilevanza costituzionale) sparirà dall’articolo 114 della Carta e dai seguenti dove figura: dal 117 al 120. Inoltre saranno abrogati il secondo comma dell’articolo 132 e il primo comma del 133. Verranno soppresse le parole «dalle Province, dalle Città metropolitane» e si stabilirà che «i Comuni e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione» e che «la legge dello Stato definisce le funzioni, le modalità di finanziamento e l’ordinamento delle Città metropolitane, ente di governo delle aree metropolitane». Infine, lo schema del ddl (da sottoporre al parere della Conferenza unificata, non vincolante) contiene una norma transitoria che fissa l’orizzonte temporale, stabilendo «entro sei mesi» dalla sua entrata in vigore, la soppressione degli enti, con il rimando ad una legge ordinaria che, chiarisce il premier, «ovviamente nell’ambito delle competenze» degli altri enti locali, «ripartirà le funzioni che oggi sono in capo alle Province». E sul tappeto c’è anche il nodo delle province commissariate per il 2013: servirà una leggina per proseguire l’amministrazione fino al completamento della riforma. Le funzioni, invece, verranno probabilmente ripartite tra Regioni e Comuni, così come la gestione delle infrastrutture (edifici scolastici e strade). Il titolare delle Riforme, Gaetano Quagliariello, precisa che «quando saranno note le motivazioni della sentenza della Corte», sarà il ministro per gli Affari regionali, Graziano Delrio, a elaborare le norme in questione. Ma il premier Letta sa che per il ddl servirà la doppia lettura delle due Camere: «Auspico che il provvedimento venga approvato nel più breve tempo possibile», scandisce perciò da Palazzo Chigi, ribadendo come il governo intenda «salvaguardare i lavoratori» e «le funzioni» degli enti soppressi. Rassicurazioni che non ammorbidiscono le resistenze dei sindacati: «Basta coi colpi di mano. Speriamo che il Parlamento ponga rimedio», avvertono i segretari di Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uil-Fpl, Rossana Dettori, Giovanni Faverin e Giovanni Torluccio. Stessi toni dall’Unione delle province d’Italia, il cui presidente Antonio Saitta protesta: «Ma davvero il Governo pensa che con un "provvedimento bandiera", che cancella con un tratto di penna 150 anni di storia, si riconquisti la fiducia degli italiani nella politica? S’accorgerà presto che in Parlamento, dove il rapporto con i territori e le comunità è forte, le posizioni su questo tema sono diverse».
Il Cdm approva la proposta di modifica costituzionale. L’ira dell’Upi e dei sindacati: in Parlamento non passerà. Dopo il no della Consulta al decreto Monti, «era necessario ripartire da capo», dice il premier. Le norme transitorie presto in una legge ordinaria: «Lavoratori e funzioni saranno tutelati».
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