Indebitarsi per guarire, o almeno per stare un po’ meglio: è il destino che tocca a 7 milioni di italiani, secondo il Rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute presentato ieri al Welfare Day 2018 a Roma. Ma quasi tutti gli altri hanno comunque dovuto metter mano al portafogli per pagarsi – in tutto o in parte – medicine e cure: nell’ultimo anno infatti 44 milioni di italiani hanno sborsato di tasca propria per prestazioni mediche. La nostra spesa sanitaria privata arriverà così a fine anno al valore record di 40 miliardi di euro (era di 37,3 nel 2017); negli ultimi 5 anni è aumentata del 9,6%, molto più dei consumi (+5,3%).
E pesa maggiormente sul budget delle famiglie più deboli: negli ultimi anni le spese degli operai sono rimaste pressoché ferme (+0,1%), ma quelle mediche sono salite del 6,4%: in media 86 euro in più per famiglia nel 2017. Tanto che – in pratica – la tredicesima (quasi 1.100 euro) se ne va per le cure e per 7 famiglie a basso reddito su 10 la spesa privata per la salute incide pesantemente sulle risorse; come si diceva, nell’ultimo anno in 7 milioni si sono indebitati per curarsi, 2,8 milioni hanno dovuto vendere una casa o svincolare risparmi. Solo il 41% degli italiani copre i costi sanitari con il reddito, ma il 47% lo fa magari tagliando altre spese (e la quota sale al 51% tra le famiglie meno abbienti).
«Sono 150 milioni le prestazioni sanitarie pagate di tasca propria dagli italiani – assicura Marco Vecchietti, amministratore delegato di Rbm –. Nella top fivedelle cure, 7 cittadini su 10 hanno acquistato farmaci (totale 17 miliardi di euro), 6 su 10 hanno pagato visite specialistiche (7,5 miliardi) e 4 ogni 10 prestazioni odontoiatriche (8 miliardi), il 50% ha dovuto risarcire prestazioni diagnostiche e analisi di laboratorio (per 3,8 miliardi) e un decimo ha comprato protesi e presidi per quasi 1 miliardo, con un esborso medio di 655 euro per cittadino».
Risultato: il 54,7% degli italiani è convinto che le cure non sono uguali per tutti. «La spesa privata è la più grande forma di disuguaglianza in sanità – continuaVecchietti – perché colpisce in particolar modo i redditi più bassi, le Regioni con situazioni economiche più critiche, i cittadini più fragili e gli anziani».
Oltre un terzo dei connazionali lamenta anche liste d’attesa troppo lunghe (che 12 milioni di persone confessano però di aver 'saltato' grazie a conoscenze e raccomandazioni) e casi di malasanità. E la rabbia per un welfare sempre più imperfetto ed esoso soffia sul fuoco del populismo: così 13 milioni di concittadini non vogliono più malati di altre regioni nei propri ospedali e 21 milioni chiedono tasse aggiuntive per chi compromette la sua salute con stili di vita nocivi, come il fumo, l’alcol o le droghe, l’obesità. Solo il 17,3% di noi prova invece un senso di protezione di fronte al Servizio sanitario nazionale, l’11,3% è orgoglioso di ospedali tra i migliori al mondo. Gli altri non si aspettano grandi miglioramenti, tanto meno da un’azione politica più efficace: per il 47% infatti i governanti hanno fatto troppe false promesse e secondo il 24,5% hanno meno competenze che in passato.