«Se lo tocchi, viene giù». Giandomenico Cifani non potrebbe essere più chiaro: il Cristo benedicente è visibilmente provato e la vita di Santa Lucia rischia di andare in polvere, dopo ottocento anni. Cifani dirige la sede aquilana dell’Istituto delle tecnologie della costruzione del Cnr e coordina i rilievi sui danni prodotti dal terremoto sui beni storico-architettonici da Ocre a Ovindoli, fino a Celano. Siamo nella chiesa di Santa Lucia, sull’Altopiano delle Rocche, pochi chilometri sopra l’Aquila. Tutt’intorno, solo pascoli e sciovie, chiese e castelli. Dove passava la transumanza, che di tratturo in tratturo si concludeva nel Tavoliere delle Puglie, è fiorita un’industria turistica che il terremoto ha azzoppato. Quello di Ocre era uno dei castelli più antichi: solo Federico II di Svevia è riuscito a far peggio del terremoto, radendo al suolo il maniero perché i suoi signori non volevano contribuire alla costruzione dell’Aquila. È danneggiata anche la torre di Aielli, uno dei punti di avvistamento con cui gli Angioini tenevano sotto controllo il Regio tratturo Celano-Foggia, che fino al ’700 era la via della lana. Stessa sorte, a Celano, per la chiesa - inagibile - di San Michele Arcangelo e l’Oratorio S. Pellegrino, a Bominaco, un pugno di case di pietra che custodisce un ciclo di affreschi studiato in tutto il mondo. «Per noi è un disastro - scuote la testa il sindaco di Rocca di Cambio Antonio Pace e quasi piange sul sagrato di Santa Lucia -. Il nostro è un comune di 500 anime che in estate diventano tredicimila. Il terremoto ha rubato i nostri gioielli». Pace non esagera: ci troviamo in quel che resta di una delle abbazie gotico- romaniche più importanti del centro Italia. Il sisma ha fatto crollare il muro in due punti, lesionando gli affreschi del XIII secolo. «Ho cercato di proteggerli subito, ma un pezzo di muro è crollato ugualmente» spiega il primo cittadino, che si è beccato una reprimenda della Sovrintendenza per aver costruito un ponteggio non regolamentare. Lui scrolla le spalle: «Alle procedure penseremo dopo, ora bisogna salvare le opere d’arte». Le procedure sono tutto, invece, per i tecnici del Cnr che si affaccendano al capezzale dell’arte abruzzese. Rispondono agli ordini di Luciano Marchetti, il vice commissario con delega ai beni culturali. Uno studioso da trincea, che si è fatto tutti i terremoti, dal Friuli in poi, e non lesina l’impegno pur di salvare navate e capitelli: «Per ora lavoriamo a debito: ho detto a Bertolaso che poi dovrà passare lui a pagare». Marchetti scherza, ma non troppo: sono tremila i monumenti che devono essere passati al setaccio dalle (poche) squadre di vigili del fuoco, architetti, storici e ingegneri strutturisti in forza negli otto centri operativi misti in cui è stato suddiviso il territorio disastrato. Secondo il vice di Bertolaso restituire a fedeli e turisti il patrimonio storico- architettonico colpito dal sisma del 6 aprile non costerà meno di tre miliardi di euro. Si tratta di una stima 'spannometrica' perché la terra continua a tremare: ogni giorno che passa affiora una crepa e un nuovo comune bussa alla porta della Protezione civile. La mattina del 28 aprile erano stati segnalati alla Protezione civile più di 1.500 mo- numenti danneggiati e le verifiche riguardavano 600 beni, quasi il 40% di castelli, chiese, abbazie e torri segnate da crepe o crolli. Il 46% dei casi monitorati è risultato inagibile; tuttavia, solo il 30% potrà essere restituito alla popolazione in tempi brevi, perché il restante 24% richiede comunque delicati interventi di messa in sicurezza, oltre ai restauri. Queste statistiche non tengono conto del centro storico dell’Aquila, dove si concentra la maggior parte dei beni culturali e che è in massima parte off limits anche per i verificatori. L’intensità macrosismica, che descrive gli effetti delle scosse sulle strutture, in città si aggira intorno al valore 8: di norma, è sufficiente arrivare a 5 per vedere crepe e cedimenti, tant’è vero che il valore 6 fa scattare lo status di area terremotata. Per esaminare le situazioni più pericolose, si ricorre quindi alle tecnologie più moderne. È avvenuto per Santa Lucia, dove è stato effettuato un monitoraggio termografico per capire come intervenire sugli affreschi: questa tecnica permette di 'vedere' il danno subito dal dipinto senza avvicinarsi alle pareti. «Sfrutta gli infrarossi ed è il modo più rapido, sicuro ed economico possibile - spiega Cifani . Le immagini rilevate nell’abbazia di Santa Lucia da Ermanno Grinzato della sede di Padova dell’ITC-CNR con l’aiuto della Flir Systems permettono di stabilire lo stato di danneggiamento degli affreschi senza sfiorarli e decidere come intervenire sui muri, onde evitare di peggiorare le cose». È ormai chiaro che sotto gli occhi degli esperti sta prendendo forma un quadro sconfortante: siamo di fronte a un danno enorme per la cultura (e ad un colpo mortale per il fatturato turistico) ma anche per la religiosità abruzzese: centinaia di luoghi di fede saranno inaccessibili per molto tempo. La Chiesa segue da vicino le operazioni, con le quali ci si adopera anche per mettere in salvo dipinti e arredi delle chiese abbandonate, che sono facile preda degli sciacalli di opere d’arte. In qualche caso, si riesce a fare molto di più: «Un esempio di efficienza è stato il trasferimento dell’Archivio arcivescovile dell’Aquila - spiega infatti don Stefano Russo, direttore dell’Ufficio Cei per i beni culturali - che si trovava nel palazzo episcopale, reso completamente inagibile dal terremoto. Il recupero del materiale archivistico, di rilevantissima importanza culturale, era molto complesso, ma, in presenza del direttore generale per gli archivi del Ministero, Luciano Scala, dei responsabili della diocesi e dei vigili del fuoco, si è riusciti a trasferirlo in una struttura dove sarà al sicuro ma sarà anche possibile continuare l’attività dell’Archivio negli anni in cui verrà restaurato il Palazzo Episcopale».